“La nostra Costituzione, un impegno per il bene della società”, la lettera del Vescovo alla città

“Una promessa a tre voci – I valori comuni della Costituzione italiana”. E’ questo il titolo scelto dall’Arcivescovo di Modena Mons. Erio Castellucci per la lettera alla città del 2017, in occasione della Festa del Patrono. La nostra Carta compie 70 anni e la sua genesi è un’occasione per riflettere anche oggi sui principi che l’hanno generata e su come viverli. A presentarla alla stampa è stato lo stesso Mons Castellucci che scrive: “La nostra Costituzione è un “compromesso” alto, secondo il significato etimologico della parola: ossia una “promessa comune”, un impegno assunto insieme per il bene della società”. Di seguito pubblichiamo la lettera dell’Arcivescovo Castellucci in versione integrale.

 

“Una promessa a tre voci – I valori comuni della Costituzione italiana”

“Mio padre Aurelio era un cantoniere comunale, iscritto fin da giovane al Partito Socialista Italiano. Morì nel 1976 per una crisi cardiaca in seguito ad un’asma cronica che lo aveva fortemente debilitato negli ultimi anni di vita. Non l’ho praticamente mai visto a Messa, se non in qualche rara occasione; però mi accompagnava con l’auto in Chiesa ogni volta che glielo chiedevo e non mi ha mai ostacolato nella partecipazione alla vita parrocchiale. Aveva un carattere molto mite, ma non debole: lo ricordo sempre calmo e nello stesso tempo deciso nel sostenere le proprie idee. Quando morì, a 58 anni, io non ne avevo ancora 16.

Nel corso del 2017 sarà ricordato, tra gli altri anniversari, il settantesimo della Costituzione italiana, firmata il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore quattro giorni dopo. Ogni volta che incrocio la nostra Costituzione, il pensiero ritorna a mio padre; non perché ne fosse un esperto: credo che non l’abbia neppure mai letta e forse – avendo ottenuto solo un diploma di terza elementare – non ne avrebbe compreso molti passaggi. Mi viene in mente lui per altri motivi.

Prima di tutto perché si sentiva ed era un “cittadino” leale e partecipe, come la Costituzione lo disegna, e non un “suddito”, come recitava lo Statuto Albertino. La sua passione politica, oltre che nei discorsi domestici, si esprimeva nella devozione con la quale seguiva, dalla metà degli anni Sessanta, tutte le trasmissioni di Tribuna politica e Tribuna elettorale. E siccome in casa c’era solo un televisore, la passione di mio padre finì poco alla volta per contagiarmi. Così mi divennero familiari i volti e le voci di Enrico Berlinguer, Giorgio Almirante, Amintore Fanfani, Aldo Moro, Ugo La Malfa e soprattutto dei socialisti Pietro Nenni e Francesco de Martino. Erano interventi e dibattiti a volte ardui per un adolescente, ma – così li percepivo – molto elevati e documentati, dai toni aspri, ma non arroganti. Spesso il discorso dei politici cadeva sulla Costituzione repubblicana, che del resto a scuola in quegli anni si leggeva e commentava nell’ora di “educazione civica”. Di solito non rimpiango i tempi che furono, ma in questo caso confesso qualche nostalgia per un confronto tra partiti più argomentato, meno aggressivo e più rispettoso delle persone, pur nella contrapposizione delle idee.

In secondo luogo, mio padre era tra coloro che avevano “fatto” la Costituzione, senza appartenere al numero dei costituenti, Nato nel 1918, durante la guerra era stato militare per oltre tre anni in Grecia e Jugoslavia. La nostra Costituzione ha alle spalle la seconda guerra mondiale e la Resistenza. I 55 milioni di morti, esito del coinvolgimento diretto o indiretto di oltre 50 Stati del mondo, sono il segno non solo della pazzia dei dittatori e delle loro ideologie, ma anche di quella inspiegabile “follia” collettiva che è la guerra. La Resistenza nell’Italia del Nord, pur con le sue contraddizioni, diede corpo al desiderio di libertà e di giustizia della nostra popolazione. L’immediato dopoguerra fu segnato dalla distruzione materiale, ma anche dal desiderio di ricostruire una convivenza pacifica e democratica, nel rifiuto della dittatura fascista che aveva portato l’Italia al disastro con la complicità della monarchia. Il 13 giugno 1946, in seguito al risultato del referendum istituzionale del 2 giugno precedente in cui vinse la repubblica, il re Umberto II lasciò l’Italia. I costituenti, interpretando il sentire della grande maggioranza degli italiani, furono concordi nel voltare pagina rispetto al fascismo e alla monarchia e nell’adottare quindi un’ottica democratica e repubblicana.

Infine la Costituzione mi ricorda mio padre per il carattere conciliante. Il testo porta la firma di tre autorità: il capo dello Stato Enrico De Nicola, il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e il presidente dell’Assemblea costituente Umberto Terracini. Non erano solamente tre personaggi di grande spessore istituzionale, ma erano anche i rappresentanti di tre culture nella nostra Carta: liberale, cattolica e social-comunista. Il miracolo della Costituzione italiana è stata proprio la fusione – tra tante discussioni e resistenze – di queste tre visioni di vita del popolo italiano. La tradizione liberale puntò sull’affermazione delle libertà individuali e sui diritti che lo Stato deve riconoscere a ciascun cittadino; la tradizione social-comunista, più sensibile ai diritti della collettività, sostenne i doveri dei singoli e la giustizia basata sull’uguaglianza dei cittadini; la tradizione cattolica, facendo leva sul concetto di “persona” cercò una mediazione tra i diritti individuali e i doveri verso lo Stato, ponendo l’attenzione anche alle formazioni sociali intermedie. Ne risultò una base comune sulla quale costruire la convivenza civile; la nostra Costituzione è un “compromesso” alto, secondo il significato etimologico della parola: ossia una “promessa comune”, un impegno assunto insieme per il bene della società.

I costituenti cattolici si erano formati alla scuola del “personalismo” di origine francese, che attraverso Maritain e Mounier aveva recuperato il concetto di “persona”, elaborato dalla teologia cristiana, come idea che compone le due istanze della libertà e della giustizia. La persona, infatti, è prima di tutto individuo, cioè ha una dignità intrinseca, che non può essere assorbita né tantomeno cancellata da nessuno Stato; però non è un’isola, ma è un’esistenza intrecciata con le altre, è essenzialmente relazione, e quindi non ha solo dei diritti individuali ma ha pure dei doveri sociali, perché anche gli altri possano vedere riconosciuti i loro diritti. “Persona”, dunque, indica l’individuo in relazione, a partire dai rapporti primari, che sono quelle familiari e dei gruppi sociali. L’art. 2 della Costituzione mette in equilibrio queste tre forze: lo Stato, il singolo e le comunità intermedie:

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Nella prima fase della preparazione del testo costituzionale, Giuseppe Dossetti – che da pochi anni insegnava Diritto canonico ed ecclesiastico all’Università di Modena – era intervenuto con un discorso molto importante, in cui tra l’altro, parlando a nome della sottocommissione alla quale apparteneva, si diceva convinto che:

la sola impostazione veramente conforme alle esigenze storiche, cui il nuovo statuto dell’Italia democratica deve soddisfare, è quella che: a) riconosca la precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella completezza dei suoi valori e dei suoi bisogni non solo materiali ma anche spirituali) rispetto allo Stato, e la destinazione di questo a servizio di quella; b) riconosca ad un tempo la necessaria socialità di tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e perfezionarsi a vicenda mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale: anzitutto in varie comunità intermedie disposte secondo una naturale gradualità (comunità familiari, territoriali, professionali, religiose, etc.) e, quindi, per tutto ciò in cui quelle comunità non bastino, nello Stato; c) perciò si affermi l’esistenza sia dei diritti fondamentali delle persone, sia dei diritti delle comunità anteriormente ad ogni concessione da parte dello Stato. [1]

Dossetti dunque accennava alle comunità intermedie tra il singolo e lo Stato, care soprattutto ai cattolici, e citava come esempio quelle familiari, territoriali, professionali e religiose, terminando con “eccetera”. La Costituzione poi ne menzionerà una decina. Sui soggetti sociali i costituenti cattolici hanno offerto grandi contributi ed hanno saputo attrarre l’interesse e le riflessioni anche delle altre parti, sia sul versante liberale sia su quello social-comunista: la famiglia (art. 29), la Chiesa cattolica (art. 7) e le altre confessioni religiose (art. 8), le “libere associazioni” (art. 18), i sindacati (art. 39), le “comunità di lavoratori o di utenti” (art, 43), le cooperative (art. 45), i partiti politici (art. 49), gli enti locali (Titolo V).

Il “compromesso” alto raggiunto dalle tre culture trova una delle espressioni più riuscite nell’art. 3, che integra in maniera calibrata i principi della dignità personale, dell’uguaglianza tra i cittadini e della sussidiarietà dello Stato, il cui compito è di rimuovere gli ostacoli al pieno riconoscimento della dignità e uguaglianza:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

I costituenti di ogni orientamento concordarono, anche decenni dopo l’entrata in vigore del testo, sulla impossibilità di cambiarne i principi di fondo, come si può leggere ad esempio negli scritti di Piero Calamandrei, Umberto Terracini, e Giuseppe Dossetti. Tanti fatti e avvenimenti nuovi sono intervenuti in questi settant’anni, alcuni dei quali hanno determinato revisioni e integrazioni, senza toccare i grandi valori comuni: cambiamenti radicali della società italiana, che oggi non è certamente riconducibile alle sole culture dell’epoca; l’avvento dell’Europa, finora più avvertito sul piano economico che su quello culturale e spirituale; il fenomeno migratorio, che i costituenti trattarono avendo davanti la situazione degli emigrati italiani all’estero (cf. art. 35) e non ovviamente i grandi flussi immigratori odierni; e tanti altri aspetti emersi solo in seguito, primo tra tutti la grande e perdurante crisi economica, che trasforma purtroppo in una chimera l’inizio stesso della Costituzione, quando definisce con tutte le ragioni l’Italia una Repubblica “fondata sul lavoro”. Ma una cosa resta certa: l’ispirazione di fondo della nostra Costituzione, ossia la centralità della persona umana intesa come essere in relazione, è un principio che non può essere abbandonato, perché fa parte della nostra civiltà ed è frutto del sacrificio di milioni di italiani.

La nostra Chiesa diocesana, con le sue risorse e i suoi limiti, continuerà a dare un contributo leale sui campi che le sono propri, intrecciando l’attività educativa e assistenziale in favore della persona e della sua dignità all’impegno intenso ed efficace delle istituzioni civili – in primo luogo i Comuni e la Prefettura – e di quelle militari, delle forze dell’ordine, di sicurezza e vigilanza, delle istituzioni culturali e accademiche, delle organizzazioni sociali, cooperative, commerciali e imprenditoriali. In questo primo anno e mezzo di ministero a Modena-Nonantola ho potuto incontrare molte di queste realtà e ne ho ammirato la creatività, apprezzandone l’attenzione, la disponibilità e la collaborazione: il desiderio cioè di un “compromesso” alto nello spirito della nostra Costituzione. Continuando a convergere sui suoi valori fondamentali, troveremo insieme i modi più adeguati per affrontare con coraggio e determinazione le grandi sfide della nostra epoca; facendo leva sulle comunità intermedie, potremo realizzare un’accoglienza dignitosa e un’inclusione rispettosa degli immigrati, la promozione del lavoro e dell’impresa, l’effettiva parità tra l’uomo e la donna, la crescita della passione civile per il bene comune nelle giovani generazioni, troppo spesso lontane dalla politica attiva. Nella diversità dei compiti e delle competenze, spero che questo spirito – accompagnato dalla passione politica nel senso più nobile dell’espressione – si diffonda sempre di più nella città e nella diocesi”.

 

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