Ciacarare Modenese: “smoledego”, un’interpretazione psicanalitica

Smolèdego (smulàdegh). In italiano: barzotto. Ciò che è smolèdego si presenta moscio, floscio, molliccio, flaccido, fiappo, contemporaneamente anche viscido, untuoso, scivoloso, equivoco, insinuante, sgradevole alla masticazione, repellente alla manipolazione nonché ripugnante tra le gambe. Appare privo di nerbo, invertebrato, attaccaticcio, vermineo, come certa trippa bianchiccia capitolina. Ciò che è smolèdego insomma ‘sblìsga’, scivola, guizza e sguscia ed è perciò di difficile controllo, con tutto ciò che ne consegue. Non va confuso con ‘tirone’ (tiròun), come certo pane francese lofi che ha la consistenza elastica di un Big Babol o del silicone Saratoga rappreso. Tutto ciò che appare smolèdego riporta inevitabilmente al serpente biblico e al suo fallico simboleggiare (per gli psicanalisti, si sa, tutto è fallico, dai rigatoni alle supposte passando per il naso di Peppa Pig), in opposizione all’Albero del Giardino dell’Eden, a cui il serpente è avvinghiato, che invece tranquillizza grazie alla sua maestosa rigidità.

Ma non solo: secondo varie correnti psicanalitiche, come sostengono Freud, Jung, Reich, Lacan ma anche il mio amico Gibertèin che, quando lo incontro al bar della Motorizzazione, dopo due caffè corretti mangia la minestra in testa a Galimberti e compagnia bella nello scandagliare i più profondi abissi della psiche, il serpente (serpene) rappresenterebbe pure l’apparato femminile vulvaceo, in grado di inglobare elasticamente tra le sue fauci prede enormi (Gibertèin è un visionario mica da ridere). Ecco quindi spiegata la refrattarietà globale nei confronti di tutto ciò che è smolèdego, in quanto possibile lombrico vigliacco traditore, non ultimo il parallelismo tra ‘viscido’ e ‘ambiguo subdolo impuffatore’. Ogni cosa vermiana o vermifera quindi repelle l’umanità intera, come si evince da alcune tipiche locuzioni, ad esempio: ‘Guardare Barbara D’Urso mi fa venire i vermi’ o l’utilizzo di altri campioni di smoledegosità per inviare fatture o malauguri (‘C’at ciapèsa un bègh!).

di Stefano Piccagliani

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