Ciacarare Modenese. Un allegro cumulo di materia nauseabonda: la màsa

Màsa: odoroso ammasso di letame immancabile nelle aie più chic e trendy e cool del contado. Attenzione: il termine va pronunciato con una S pesantissima, a sottolinearne il carattere rude. Facilmente equivocabile con un prezioso tumulo votivo etrusco o celtico, in realtà con ‘màsa’ si intende un maestoso blob di merda, dalle considerevoli dimensioni, capace di emanare effluvi pestilenziali come una sorta di ‘arbre tragique’ che ammorba tutto il territorio circostante.

Secondo la definizione introdotta da Newton, la massa è la quantità di materia contenuta in un corpo. Nel nostro caso è invece la quantità di materia espulsa da un un corpo (bovino). Il villico, che sa che dai diamanti non nasce niente (a parte l’amore coniugale) ma che dalla cacca invece spuntano le margherite, si industria ad accatastare tiepide bovazze bovine che gli verranno comode quando sarà il momento di fertilizzare e, non avendo luoghi chiusi in cui conservarle e ove, tra l’altro, la loro vis fertilizzante potrebbe appassire, ecco che agglomera in collinette odorose tutto il prodotto interno lordo espulso dalle sue bestie ruminanti giusto fuori di casa, a due passi dalla finestra della cucina, per la gioia dei figlioletti che crescono in tale ecosistema sviluppando narici di titanica resistenza.

Non va sottostimato l’aspetto pedagogico-educativo della ‘màsa’, come si evince dalla tipica frase che la madre villica rivolge al figlio discolo: ’Dàgh un tàj a sbraghér i caiòzz o at bòtt in d’la màsa’. Altri usi gergali ne conferiscono sfumature poeticamente più rotonde, caratterizandone l’appeal scatologico-escatologico: ‘Al fiòl ed Gibertèin quànd l’è gnù al mànd l’era axè bròt chi l’han butè in d’la màsa’. Tale è la vis espressiva del vocabolo, che quando il calloso villico guarda la televisione o ascolta la ‘aradio’ e sente parlare di ‘fenomeni di massa’, ‘comunicazioni di massa’ o ‘turismo di massa’, non può evitare di pensare alla piramide di merda accatastata che ha nell’aia. Non senza una certa ragione.

 

di Stefano Piccagliani

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