“La musica per fare comunità”, intervista ad Antonio Rigo Righetti

Il mondo della musica, dell’arte e della cultura in generale è uno di quelli che maggiormente stanno risentendo gli effetti negativi dell’emergenza sanitaria. Concerti e spettacoli sono spostati a data da destinarsi se non annullati definitivamente, mentre biblioteche, musei, archivi e gli stessi negozi di dischi sono chiusi. Per fare un punto della situazione sul mondo della musica, oltre che per scoprire come sta vivendo lui personalmente questa fase difficile per tutti, questa settimana abbiamo contattato telefonicamente Antonio Rigo Righetti, musicista modenese per anni nella band di Luciano Ligabue.

Rigo, come vive un musicista come te abituato a suonare dal vivo quasi tutte le sere, una quarantena collettiva come questa?
Beh posso dire che sono in crisi d’astinenza. Quello che prima davo per scontato, cioè la dimensione live, un momento anche catartico in cui convogli tutte le energie che metti nello studio e nella ricerca, adesso mi manca molto. Anche psicologicamente non mi sento così tranquillo come dopo una delle mie serate, che sono una vera valvola di sfogo.

Come trascorri le tue giornate in casa?
Innanzitutto studiando la musica ampliata ad una serie di concetti melodici e armonici che ho sempre bisogno di approfondire. Poi ho creato online una piccola comunità di ragazzi che suonano il basso, dal Trentino fino alla Sicilia, a cui faccio delle lezioni a distanza utilizzando Skype. E’ qualcosa che di solito sono abituato a fare di persona, ma comunque funziona anche così. E’ la trasmissione di un metodo di studio e di analisi del ruolo del bassista, unita agli ascolti, che sono fondamentali e per i quali utilizzo delle playlist su Spotify.

Stai scrivendo anche qualche canzone?
Si, ne ho quattro nuove di cui tre le sento già formate. Non so però se ne uscirà un disco, viviamo in un periodo di particolare difficoltà per l’incontro tra le persone che è fondamentale per la musica. Vedremo. Di sicuro ognuno di noi credo abbia riscoperto una parte spirituale e interiore che ci fa confrontare con quelle domande gigantesche dell’esistenza che normalmente tendiamo a nascondere sotto la frenesia delle giornate, per cui da lì vengono dei suggerimenti. E poi un pezzo come quello nuovo di Bob Dylan (“Murder Most Foul”), un vero e proprio fulmine a ciel sereno arrivato al momento giusto, nel quale lui è riuscito ad inserire una serie di musicisti, personaggi storici, anche assassini all’interno di una composizione chilometrica con un andamento quasi da rapper, non può che essere di ispirazione.

In questo periodo sono diversi i musicisti o anche solo coloro che suonano per diletto che propongono dei piccoli concerti online. Secondo te è una cosa positiva o solo un modo per mettersi in mostra?
Io la vedo come una cosa positiva, credo che chi lo fa sia mosso da sentimenti veri, non dalla voglia di farsi notare. E poi uno ha comunque la libertà di guardare solo se ne ha voglia. Non sono d’accordo con quelli che dicono che, facendo queste dirette, ci si butta via e che la musica deve ripartire dal rock. In questo periodo ben vengano queste cose e per fortuna che ci sono. L’altra sera, su Instagram, ho seguito un live in cui Steve Jordan, grande batterista, parlava con Robert Cray del suo nuovo disco. Un’ora passata molto bene, con domande e risposte interessanti. Una cosa che anni fa, se l’avessero pubblicata in videocassetta, l’avrei acquistata.

Facciamo un gioco, se dovessi consigliare ai nostri lettori tre dischi da ascoltare in questo periodo cosa diresti?
Mah, ne ascolto tantissimi. Sicuramente “The Missing Year” di John Prine, grande songwriter scomparso da poco. Un disco bellissimo che ti fa capire da dove si sono abbeverati artisti come Steve Earle o John Mellencamp. Poi l’album solista di Lowell George, “Thanks I’ll Eat it Here”, pubblicato poco prima della sua morte, e il nuovo di Robert Cray di cui parlavo prima. Un album elegante di quel blues mischiato con il soul che mi ispira sempre.

E se dovessi consigliare tre libri da leggere?
Guarda ultimamente mi sono riletto “I Tre Moschettieri” di Dumas e, pur facendo un po’ fatica, mi ha preso molto. Sto anche rileggendo in italiano l’autobiografia di Robbie Robertson, un vero e proprio romanzo con tanti aneddoti interessanti. Infine un libro che ogni tanto torno a leggere e cioè “La vita istruzioni per l’uso” di Georges Perec.

Parliamo di concerti. Il Campovolo è confermato? Secondo te quando si potrà ripartire?
Il Campovolo al momento è confermato. E’ un sold out da 100 mila persone e, per la verità, ho qualche dubbio che sia possibile farlo già a settembre. Bisogna vedere come si evolve la situazione. Ci sarebbe molto bisogno di musica dal vivo, ma io, realisticamente, credo che si potrà tornare a regime soltanto tra un anno.

Con Il Posto avete in mente qualche iniziativa?
Si certo, ci stiamo attrezzando per fare qualcosa in streaming, con dei live su Facebook dove cercheremo di riproporre le nostre serate facendo comunità. Ce n’è davvero bisogno.

di Giovanni Botti

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