Lino Guanciale, la star che ama il teatro

Da qualche anno è una star delle fiction Rai, ma Lino Guanciale si definisce prima di tutto come un attore con le radici ben piantate sui palcoscenici di legno dei nostri teatri. Ha appena debuttato anche nella veste di regista con l’allestimento di “Nozze” del premio Nobel Elias Canetti, in scena al Teatro delle Passioni di Modena fino al 15 dicembre.

Lino, come sei arrivato a questa nuova sfida teatrale?
Mi è stato proposto da Claudio Longhi e ho detto subito di sì. Era un’occasione per far parte integrante del progetto “Canetti. Il secolo preso alla gola” che, come Modena ormai conosce, non contempla solo la realizzazione di spettacoli, ma tante attività nelle biblioteche e nelle realtà associative più varie per chiamare la città a partecipare alla riflessione su questo autore.

Con Modena ormai hai un rapporto molto consolidato…
Altroché, la considero casa mia, insieme a Ert. Ed è bello che sia stato proprio Ert a chiedermi per primo di fare questo salto registico, qui a Modena.

Conoscevi già questo autore?
Da molto tempo. Mi ritengo un “canettiano”. Il teatro ha sempre fatto parte dell’educazione sentimentale di Canetti, ma poi di testi teatrali ne ha scritti solo tre, dei quali “Nozze” e “Commedia della vanità” (altra produzione Ert) vennero elaborati all’inizio degli anni ‘ 30, quando l’autore aveva 26-27 anni. Per questo mi piace che la compagnia che mette in scena Nozze sia molto giovane. Sono tutti neodiplomati della scuola Iolanda Gazzerro. Lo spettacolo è un cocktail esplosivo a base di energia: un testo giovane, attori giovani e un regista alla sua prima prova.

“Nozze” descrive il crollo di tutto un universo borghese degli anni ’20-’30…
Beh, è un mondo che danza sull’orlo dell’abisso, senza rendersi conto di esserci. Un mondo contaminato da quelle ossessioni che fanno da humus per la crescita e la diffusione del virus nazi-fascista. Un anno dopo la pubblicazione di “Nozze” (1932), i nazisti bruciano i libri in piazza. Questo per indicare come anche culture di altissimo livello – quella europea, tedesca in particolare – possano partorire la violenza più brutale. Il testo ha il ritmo di una farsa grottesca. Al riso si alterna il senso di incredulità e di disagio di fronte alla grettezza dei comportamenti, dei pensieri e delle azioni di queste figure che ruotano tutte intorno al possesso. Possesso materiale, possesso erotico: sono tutte incapaci o disinteressate a mettere su una prospettiva più ampia le proprie piccole esistenze.

Quanto è attuale oggi?
Molto. Partire da un testo come questo ci permette di parlare dell’oggi prendendo una distanza utile a mettere a fuoco i problemi. Penso alle strumentalizzazioni sulla questione dei migranti. Avrei potuto lavorare su fatti di cronaca, sono testimone dell’UNHCR (l’agenzia ONU per i rifugiati). Certe esperienze le ho apprese da chi i viaggi della speranza li ha fatti, o quantomeno tentati sulla propria pelle. Forse sarebbe stato più semplice, ma ho preferito andare più a fondo sulla radice dei problemi e indagare quei germi di isteria collettiva degli anni ‘30, mai definitivamente affrontati.

È sfida di regia fra Guanciale e Longhi?
Il pubblico modenese potrà trovarle e sarà un punto di forza del progetto. La richiesta che implicitamente mi è stata fatta, è stata di non replicare una stessa modalità di poetica teatrale, ma di agire nel modo più personale possibile.

Quali sono ora i tuoi progetti televisivi?
Sto girando a Napoli “Il commissario Ricciardi”, una serie ambiziosa ambienta negli anni ’30, tratta dai romanzi di Maurizio De Giovanni. Poi riprenderà la terza stagione de “L’allieva” (dai romanzi di Alessia Gazzola) e il terzo capitolo de “La porta rossa”, la serie ideata da Carlo Lucarelli e Giampiero Rigosi.

Preferisci il teatro o la tv?
Ovviamente il primo. Per molto tempo la televisione non l’ho voluta fare. Ho cominciato a 33 anni. Ne temevo i ritmi frenetici e non mi ritenevo abbastanza pronto per sostenerli, quindi ho preferito fare il mio apprendistato teatrale fino in fondo e visto che la tv ha ‘continuato’ a chiamarmi, ho detto sì, pensando che un’iniezione di visibilità potesse far bene a me e al mio gruppo di lavoro. Poi tutto è andato molto al di là delle mie aspettative. Non pensavo mi arrivasse questa visibilità e popolarità. Credo però che questa iniezione di visibilità possa portare a teatro un pubblico più largo di quello consolidato. Del resto è bene che il teatro punti ad avere una dimensione popolare, perché è il più grande atto politico a cui una comunità possa partecipare.

Come ti trovi nei panni del sex symbol?
Mi fa sorridere, è qualcosa che apprezzo, che mi gratifica, ma cerco di non viverla come un gigione, non come un fine. Del resto anch’io sono stato fan appassionato di attrici.

Un esempio?
Nicole Kidman. Ma guardando i suoi film, ho realizzato quanta qualità artistica ci fosse nel suo lavoro.

A Natale lavorerai?
No, ho intenzione di riposarmi. A Natale ci si gode una bella famiglia pronta ad accogliermi e una compagna con cui stare.

 

di Francesco Rossetti

WP-Backgrounds Lite by InoPlugs Web Design and Juwelier Schönmann 1010 Wien