Storie: la Scuderia Ferrari raccontata in un libro da Angelo Castelli

Una storia della Ferrari, dalla prima officina di viale Trento Trieste a Modena al grande villaggio industriale che ha reso Maranello celebre in tutto il mondo. Una vera e propria visita guidata all’interno di una delle realtà imprenditoriali più apprezzate al mondo, condotta da chi nella casa del Cavallino Rampante ci ha lavorato per 52 anni. Questo è “Dentro la Scuderia. Mezzo secolo di vita e lavoro per la Ferrari” di Angelo Castelli, pubblicato da Artestampa. Un libro davvero interessante e non solo per gli amanti dei motori, arricchito, tra l’altro, da un corredo fotografico di grande valore storico. “L’idea di scrivere un libro del genere mi è venuta in un momento un po’ strano”, racconta Castelli. “Stavo andando a Puianello in bicicletta e, forse per il fatto che non mi arrivava sangue al cervello, ho pensato: ‘ho passato 52 anni in Ferrari e sulla storia dello stabilimento non mi risulta sia stato scritto granché’. Allora ho iniziato a fare delle ricerche e sono partito in questa avventura un po’ per scherzo. Poi ho visto che l’impegno diventava sempre più grande e alla fine ci ho messo due anni per portarlo a termine”.

Quando e come è entrato alla Ferrari?
Mi sono diplomato nel 1966 come disegnatore meccanico, ho avuto delle buone valutazioni e mi hanno cercato loro. In pratica a giugno ho conseguito il diploma e a settembre ho iniziato. Io ero già in trattativa con la Fiat Trattori, ma quando mi ha chiamato la Ferrari non ci ho pensato due volte”.

Quelli erano anni di crescita per l’azienda?
Nel 1966, in realtà, eravamo ancora un po’ fermi, facevamo circa 740 vetture all’anno. E’ a partire dal 1969, con l’arrivo della Fiat, che la Ferrari passa da bottega a stabilimento. Cominciammo a fare gli ampliamenti, a sviluppare il piano gamma prodotto e a incrementare i modelli e tutta l’evoluzione della fabbrica”.

Il suo ruolo qual era?
Io ho iniziato come disegnatore meccanico, poi ho fatto il programmatore delle macchine a controllo numerico e successivamente sono diventato responsabile degli impianti. Da lì la mia carriera è proseguita fino al 2008, quando sono andato in pensione. Mi hanno però chiesto di restare dentro come consulente e l’ho fatto per altri dieci anni. Oggi faccio ancora parte del comitato della certificazione delle auto d’epoca. Ci troviamo una volta al mese per certificare le vetture”.

Ha collaborato anche con il reparto corse?
Si negli anni dal 1994 al ‘96 sono stato chiamato in gestione sportiva a ricoprire il ruolo di responsabile della produzione, mantenendo però, nello stesso tempo, anche la direzione delle tecnologie. E’ stato un periodo impegnativo, ma direi abbastanza interessante”.

Come si è evoluta la Ferrari in tutti questi anni?
Innanzitutto, come dicevo, da bottega è diventata stabilimento. Siamo passati dai 30 mila metri di coperto iniziale a 250 mila metri solo nello stabilimento di Maranello. Nel libro racconto tutta la storia di questi ampliamenti”.

Il Drake Enzo Ferrari lo ha conosciuto?
Si, ho lavorato con lui per 22 anni, nel libro racconto diversi aneddoti, a volte simpatici, altre in cui ho anche rischiato di essere licenziato. Ormai avevo capito che quando mi dava del tu potevo stare tranquillo, se mi dava del lei, invece, era dura. Lavorativamente parlando posso dire che è stato un secondo padre. Mi ha dato fiducia e mi ha fatto fare delle cose che non avevo mai fatto. Non so se ad un giovane di oggi potrebbe succedere qualcosa di simile”.

Può raccontare un aneddoto?
Si, una volta invitai Michele Alboreto alla cena dello Sci Club di Maranello, di cui ero presidente. Era di venerdì sera e lui accettò. Il lunedì dopo mi chiamò il capo del personale e mi disse che il Drake non l’aveva presa bene e voleva vedermi. Andammo da lui e, dopo il capo del personale che rimase dentro un bel po’, toccò a me. Entrai e Ferrari mi disse dandomi del lei: “si ricordi che i piloti sono miei e li gestisco io”.

Per il libro ha fatto delle ricerche particolari?
Sono andato da un signore a Maranello che era il responsabile del montaggio vetture. Lui mi ha dato dei suggerimenti per fare il rendering di come era un tempo la fabbrica. Quando gli ho dato il libro, una sera mi ha telefonato che piangeva e mi ha ringraziato per avergli fatto rivivere la sua gioventù. Per la parte dal 1966 in poi, avevo già un po’ di materiale, visto che era mia abitudine di scrivere, anno per anno, le cose principali che si facevano. Quelle mi sono servite molto come traccia. Infine ho dovuto andare a cercare le foto”.

Nel testo c’è anche la traduzione in inglese…
E’ vero, essendo in qualche modo un documento storico, abbiamo deciso con Bonacini di inserire anche quella”.

Ha qualche presentazione in programma, concluso il periodo di emergenza?
Ne ho una all’autodromo a giugno, ma mi devono ancora confermare la data. Ne abbiamo fatte diverse. Una cosa che tengo a sottolineare è il fatto che tutto ciò che mi spetterà sui diritti del libro, sarà devoluto in beneficenza per la ricerca sulla distrofia muscolare”.

di Giovanni Botti

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