Gaspare Palmieri: “Forse non sarà domani”, un libro su Luigi Tenco

Mezzo secolo è ormai trascorso dalla tragica fine di Luigi Tenco, in una drammatica notte sanremese, nel bel mezzo del Festival della Canzone. Il brano “Ciao amore ciao”, cantato in coppia con Dalida, non era stato ammesso alla finale e Tenco si tolse la vita (ma la vicenda è controversa). Al cantautore di scuola genovese, Gaspare Palmieri e Mario Campanella hanno dedicato un libro a quattro mani. Il titolo, “Forse non sarà domani” (nella foto, la copertina), prende a prestito un verso della celebre “Vedrai vedrai”. Psichiatra, psicoterapeuta ma anche musicista, Palmieri è alla sua seconda pubblicazione con la prestigiosa casa editrice Arcana, fondata da Fernanda Pivano. L’anno scorso aveva pubblicato “Psicorock. Storie di menti fuori controllo”.

Palmieri, come ha preso forma il libro?
Da un’idea del coautore, Mario Campanella. Aveva pubblicato un libro su Syd Barrett, sempre con Arcana. Ci siamo letti a vicenda, poi lui mi ha proposto di lavorare insieme a un approfondimento su Tenco. Nella prima parte Campanella immagina cosa direbbe il cantautore se fosse vivo oggi. Nella seconda sono io a tracciare un profilo psicologico, compatibilmente col fatto che ovviamente non ho mai conosciuto Tenco. Mi sono basato sulle sue dichiarazioni e sulle sue canzoni, e sugli eventi della sua breve vita.

Quanto è complicato analizzare una persona entrata nel mito della canzone italiana?
Piuttosto complicato ma anche molto affascinante. Quelle che vengono proposte sono ipotesi. Un profilo psichiatrico non può prescindere dall’avere una persona davanti e dal poterla intervistare. Però nel libro vengono fuori diverse riflessioni, su certi aspetti della sua personalità che hanno condizionato la sua esistenza.

Le canzoni di Tenco sono spesso malinconiche, comunque il frutto di un processo artistico distinto dalla vita privata…
Hai ragione. A differenza di quello che è stato detto da qualcuno, Tenco non era affetto da un disturbo psichiatrico di tipo depressivo. Aveva un temperamento per certi aspetti malinconico, tipico di poeti e scrittori (basti pensare a Leopardi, Pavese), ma era una persona anche molto vitale, piena di interessi, di amici. Di base aveva un assetto caratteriale con alcune rigidità: per esempio credeva moltissimo in quello che faceva. Aveva un rispetto estremo anche per la propria opera. C’è una sua frase indicativa in tal senso: “Una canzone è un fatto troppo importante per la vita di un uomo”. E questo elemento si è scontrato con l’ambiente musicale. Era una persona anche molto coerente. In “Cara maestra” faceva riferimento al “vincere o morire”. Una persona così, se si scontra con delle forti delusioni, può rimanere molto male e arrivare a compiere un gesto estremo, proprio sull’onda di un profondo sconforto.

Eppure Tenco aveva già ottenuto un certo riconoscimento…
Sì, ma viveva la dimensione del cantante in modo abbastanza ambivalente. Studiava, si era iscritto all’università, prima a Ingegneria poi a Scienze Politiche. Per soddisfare le aspettative della famiglia, in particolare della madre. I suoi pensavano per il figlio ad una professione più stabile rispetto a quella del musicista. Ci sono lettere in cui scrive: non faccio il musicista, sono solo uno studente. Insomma anche lui aveva l’idea che il musicista fosse un lavoro di serie b e che dovesse corrispondere ad aspettative familiari. Credo che questo fosse un conflitto che non tutti gli altri suoi colleghi (Paoli, Lauzi, etc.) vivevano.

Quanto hanno inciso le origini piemontesi nella sua personalità?
Come Cesare Pavese, Tenco proveniva dalle Langhe, una zona del Piemonte non proprio allegrissima, con persone caratterialmente chiuse, non particolarmente gioviali. Veniva dal mondo contadino, era cresciuto nel dopoguerra, in anni non ancora toccati dal boom. Risulta che fosse una persona silenziosa, di poche parole.

Un gesto simile sarebbe immaginabile al Festival di Sanremo di oggi?
È davvero difficile immaginarlo. Certo fu un evento scioccante. Allora si cercò di detonarlo, tanto che il Festival non venne neanche sospeso, nella filosofia del “the show must go on”. Per qualcuno è un gesto che segna la nascita della canzone d’autore italiana. Il trauma sociale che ha dato vita a De Andrè, Guccini e gli altri.

Anche Dalida ebbe un destino tragico…
Ci sono varie versioni sulla loro presunta storia sentimentale. Il fratello di Tenco ha tirato fuori una donna segreta, tale Valeria. Tenco si rivolgeva a lei dicendole che con Dalida era solo una montatura legata al marketing. Però è vero che Dalida ha poi sofferto molto, tentando il suicidio più volte. Mi verrebbe da pensare che il sodalizio con Tenco avesse un certo peso nella sua vita.

Anche lei è un musicista, giusto?
Scrivo anch’io canzoni. Con questi due libri (“Psicorock” e “Forse non sarà domani”) ho cercato di integrare i due mondi (psichiatria e musica) che hanno molti punti di intersezione. Molti musicisti hanno esplicitato disturbi psichiatrici nella loro carriera. Io ricorro spesso all’utilizzo della musica come terapia a Villa Igea. Utilizziamo l’ascolto di canzoni per facilitare l’espressione emotiva e riflettere su aspetti psicologici.

Tenco è fra i suoi preferiti?
Certe canzoni come “Vedrai vedrai” mi sono sempre piaciute molto, ma non lo conoscevo così bene. Lavorare al libro mi ha consentito di approfondire. Nella sua opera c’è una sorprendente varietà di registri, dal sociale al malinconico-sentimentale, all’ironico.

di Francesco Rossetti

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