Il dono della parola: l’intervista a Simone Soria

Immaginate di vivere la vostra vita. Andare a scuola, affrontare l’adolescenza, lottare ogni giorno per realizzare i vostri sogni. Adesso immaginate di farlo sulla sedia a rotelle, senza usare le mani e articolando le parole a fatica. Simone Soria è venuto al mondo in questa condizione, affetto da paralisi cerebrale infantile, conseguenza di un parto ritardato. Un’infermità che sembra porre dei limiti ben precisi alla vita di una persona, dei muri all’apparenza invalicabili. Eppure Simone non si è mai fermato a pensare a quello che non poteva fare. Laureato con lode in ingegneria informatica nel 2004, dopo appena un anno fonda Aida.L’obiettivo di questa cooperativa sociale Onlus – ci spiega Simone – è quello di proporre innovativi ausili di supporto per coloro che, come me, hanno difficoltà a comunicare a seguito di gravi patologie”.

Grazie agli studi approfonditi nel campo dell’informatica e alla propria esperienza diretta, Simone ha infatti sviluppato dei software che danno la possibilità di esprimersi a chi altrimenti, sarebbe costretto al silenzio. Associati a dei monitor, i software sono in grado di cogliere anche i più piccoli movimenti, permettendo la gestione di alcuni semplici comandi. Spostare la freccia del mouse, scrivere al computer, gestire complessi programmi di grafica o semplicemente rispondere alle domande di un’intervista, come in questo caso: “Una grossa fetta del lavoro è impostare al meglio gli ausili in base alle caratteristiche della persona – ci spiega – che riconoscono il movimento della parte del corpo registrata, come un dito o le labbra”.

Parlando con Simone, ci si chiede da dove possa arrivare tutta questa forza d’animo. Senza dubbio una parte di questa grande determinazione, nasce dal supporto di amici, colleghi e della moglie. Un amore sbocciato nonostante lo scoglio della lingua, essendo lei di origine nipponica: “Ci siamo incontrati in una struttura per disabili – ci racconta – dove lei avrebbe fatto la volontaria ancora per qualche settimana. Nonostante i chiari problemi di comunicazione, abbiamo passato ore a parlare. Evidentemente siamo riusciti comunque a capirci bene”. L’altra colonna, su cui si basa la vita di Simone, è la fede: “Considero il mio lavoro come una missione sociale, affidatomi dal Signore nel 2003 quando ho scelto il tema della tesi di laura. Dare la possibilità alle persone di comunicare, scrivere, studiare o lavorare, è semplicemente bello. Le difficoltà non mancano, di tipo economico o scaturite da “professionisti” che hanno più a cuore i propri interessi che i pazienti. Ma i problemi si superano o si aggirano, con fede, intelligenza e costanza. Finché le persone troveranno giovamento nel nostro lavoro, in qualche modo andremo avanti”.

Un progetto ambizioso, una vita vissuta al massimo che ha ancora tanto da regalare a lui e a chi gli sta attorno. “Quando si riesce a trasformare la “Sofferenza” in una spinta per aiutare gli altri, la vita cambia: si aprono prospettive ed orizzonti che ci fanno sentire utili, finendo col dare meno peso alla propria condizione”.

Senza la sua disabilità, Simone non sarebbe l’uomo che è adesso, una malattia che ha segnato la sua esistenza, che dà l’idea di essere meravigliosa.

di Francesco Palumbo

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