L’arte s’impara giocando: l’intervista a Serena Goldoni

Ogni bambino è un potenziale artista, lo diceva anche Picasso. Il problema è poi, quando si cresce, rimanere non per forza artisti, ma almeno persone appassionate, con un proprio gusto e una propria curiosità da esercitare. Il tema interessa da vicino Serena Goldoni, responsabile delle attività didattiche e divulgative sia del Museo Civico d’Arte che del Sito Unesco, oltreché curatrice della attività del Laboratorio Dida.

Serena, dopo diversi anni come curatrice di mostre, ora hai avviato un nuovo percorso. Come ti trovi?
Ne sono entusiasta, ho la fortuna di mettere a frutto una serie di esperienze legate soprattutto a Luana Ponzoni che era la responsabile del dipartimento educativo dei Musei Civici, anche rispetto ai laboratori legati all’attività della Galleria Civica. Lei è stata sempre di grande aiuto rispetto alla programmazione. Quando è andata in pensione, si è profilata l’opportunità per me di avviare una nuova esperienza lavorativa in un settore molto attivo e decisamente importante per quello che riguarda la vita dei Musei e le attività culturali in generale. Grazie a queste attività riesci a lavorare con un pubblico che comprende una fascia d’età che va dalla scuola materna alle scuole superiori, ma si estende alle famiglie, a gruppi specifici, collaborazioni con i servizi sociali con gli anziani, oppure i diversamente abili. Un’esperienza molto stimolante. Sono grata a Luana che mi ha preparato un terreno molto proficuo dove è bello lavorare e progettare.

E rispetto al Sito Unesco?
C’è uno spazio didattico permanente che coivolge una fitta rete di scuole e di pubblico, ed è il Laboraduomo. Dal 2013 è attivo un percorso didattico che si chiama “A scuola con l’Unesco”, grazie proprio alla collaborazione tra il Museo Civico d’Arte e i Musei del Duomo. L’arte è un’esperienza per definizione senza confini, legata alla scoperta e a un approccio soggettivo.

Come si fa a insegnarla?
Penso che per i bambini, ma anche per i più grandi e per un pubblico più adulto, un approccio pratico alla creazione d’arte rappresenti un’occasione insostituibile per diventare pubblico non passivo di un’esposizione. I percorsi che abbiamo attivato si concludono sempre con una scoperta di tecniche e di modalità artistiche e artigianali, fondamentali per la costruzione e craezione di opere d’arte. I laboratori ti permettono di lavovare all’interno del Museo, di attivare percorsi sensoriali. Destano curiosità. Si raccontano storie, si approfondiscono tematiche. Muovendo da un particolare ci si allarga a un contesto storico. E’ fondamentale poter vivere il museo anche in questo modo, non solo guardare e leggere le didascalie. E’ anche un modo per tramandare beni inestimabili che appartengono alla comunità, e dei quali dobbiamo essere orgogliosi.

Il digitale, quanto è importante?
E’ un linguaggio che le nuove generazioni sentono affine. Oggi è pertanto imprescindibile per un percorso di avvicinamento all’arte. Parallelamente dobbiamo insegnare anche ad apprezzare il tempo di realizzazione di un’opera d’arte o di un manufatto, la lentezza nel riuscire a costruire le cose, un valore che con l’era digitale si sta perdendo. Parlo di precisione, coscienza di ciò che stai andando a fare, di manualità. Riuscire a operare con le mani e non solo con la testa. E tuttavia, ripeto, oggi non puoi non essere curioso rispetto alle possibilità che offre il digitale. Non possiamo mettere la testa sotto la sabbia.

Come si può accedere a queste attività didattiche?
Le attività con le scuole sono collegate con MeMo, i suoi itinerari scuola-città e direttamente con gli insegnanti. Per ogni percorso didattico affrontato, diamo un libretto agli insegnanti e ai singoli bambini, offrendo la possibilità di proseguire l’esperienza fatta al museo, in classe oppure a casa in famiglia. Quanto alle attività extrascolastiche, sui siti internet del Museo e del Sito Unesco ci sono aggiornamenti continui. E per chi vuole una newsletter.

Che tipo di rapporto hai con Modena?
Sono modenese doc. Posso dire di avere un rapporto affettivo viscerale con la mia città. A volte mi posso arrabbiare su alcune cose, ma è un amore profondo. Sono cresciuta dentro alle mura del centro, perfino dentro agli ambienti del Palazzo dei Musei, perché mio papà era operatore all’allora Sala di Cultura. La città è cambiata nel tempo ed è sempre stimolante; cambierà anche nei prossimi anni, non vedo l’ora di vivere le novità.

Due parole sulla mostra “Io sono una poesia”?
Decisamente da non perdere, un percorso che si sviluppa in varie sale del Museo. Una carrellata attivatrice di ricordi che coinvolge tutte le arti, restituendo il clima di un momento storico meraviglioso (il decennio a Modena e Reggio tra il 1962 e il 1972), a livello artistico e sociale.

 

di Francesco Rossetti

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