Lella Costa, vi racconto Edith Stein: l’intervista all’attrice protagonista al FestivalFilosofia

Persona’ è la parola chiave di questa edizione del FestivalFilosofia, pronta a innescare più di una scintilla di curiosità nel pubblico che affollerà le piazze di Modena, Carpi e Sassuolo, dal 13 al 15 settembre. Oltre 50 lezioni magistrali e accanto un’infinità di eventi collaterali per il programma ‘creativo’. Che a Sassuolo, nella serata conclusiva di domenica 15, alle 21, in piazzale della Rosa, vedrà protagonista Lella Costa (foto). Per provare a raccontare la vicenda umana (e mistica) di Edith Stein, patrona dell’Europa come Santa Teresa dalla Croce, con l’intervento dal titolo “Ciò che possiamo fare”, che è anche il titolo di un agile libro che la stessa attrice ha pubblicato con la casa editrice Solferino.

Costa, che tipo di ‘persona’ era Edith Stein?
Premessa: sono molto lusingata di essere invitata al Festival, ma certo il mio approccio a Edith è quello di una persona che non ha strumenti filosofici specifici per restituirne la complessità e il valore come filosofa e fenomenologa. Ho tentato un approccio personale e quindi anche un po’ arbitrario. Edith era un’anima inquieta, con una grande capacità di concentrazione nello studio e di speculazione filosofica. Nel libro la definisco un luminosissimo enigma. Il suo percorso, le sue scelte e la sua coerenza sono impeccabili; allo stesso tempo è una donna che ha vissuto molte contraddizioni e le ha anche gestite con grande pudore.

Per esempio?
Nasce in una famiglia ebrea osservante e a sedici anni dichiara di essere atea, molla la scuola poi ci torna. Si qualifica studiando fianco a fianco con Edmund Husserl, poi si vede respinta la candidatura alla carriera accademica, con l’handicap di essere una donna in un’epoca – gli anni ‘20 del Novecento – che avevano visto Marie Curie vincere già due premi Nobel. Si converte. Ciò che sappiamo è che rispetto alla religione cattolica rimane folgorata e affascinata dalla croce, quindi dall’assunzione di responsabilità, dal ‘farsi carico’… che è forse la sua caratteristica che mi colpisce di più.

Come si collega il pensiero critico della filosofia a un’esperienza mistico-religiosa?
Forse questo continuo indagare e spostare sempre più in là l’asticella della ricerca e quindi del dubbio, a un certo punto potrebbe trasformarsi in una sorta di baratro nel quale temere di perdersi. Questo potrebbe spiegare perché Edith si converte al cattolicesimo che è una religione che ti contiene e non così incline alla dissertazione, alla querelle, come lo è l’ebraismo, dove peraltro c’è ancora meno spazio per le donne che non nel cattolicesimo.

I suoi spettacoli presuppongono sempre una ricerca, ma che in questo caso si è spinta anche a farne un libro. Perché?
Mi è stato proposto. Ho accettato la sfida, ma la mia domanda di partenza è stata: “cosa c’entro io?”. Ho provato a raccontare Edith con la mia voce, per questo mi sono concessa anche incursioni e libere associazioni con altri personaggi e contesti diversi, per esempio con la Babette del racconto di Karen Blixen. Mi ha colpito questa possibile confidenza con un personaggio così rigoroso e complesso, questo sentirla imprevedibilmente molto più vicina di quanto non avrei immaginato.

Edith Stein e l’Europa: qual è il legame?
La sua è una vicenda europea: nasce in una città prussiana che ora è polacca. Mi piace che la sua figura ponga il tema dell’Europa fuori dalle meschinerie con cui ci viene spesso presentato, intriso di calcoli economico-finanziari e svuotato di ideali. Il paradosso della sua biografia è che lei è una martire e santa della chiesa cattolica, ma è stata martirizzata in quanto ebrea, mandata a morte da un popolo che si professava cristiano. Penso solo che in Edith vadano ritrovate le radici di un comune sentire e di una comune cultura. Io mi identifico nella frase di Luis Buñuel che diceva “Grazie a Dio, sono ateo”. Le radici culturali e linguistiche non possiamo negarcele, a pena di un impoverimento. Penso a quelle espressioni come “Grazie al cielo”, “se Dio vuole” che ci connotano, al di là delle nostre convinzioni religiose.

Lei ha un filosofo preferito?
Li ho sempre letti più da un punto di vista letterario che da quello del contenuto. Spesso i filosofi, a cominciare dai greci, ci hanno lasciato testimonianze di grande pregnanza narrativa ed è questa la dimensione che sento più affine.

I festival culturali: per qualcuno sono il top, per altri fuochi di paglia che si esauriscono in fretta. Lei cosa ne pensa?
Che ci sia un fattore di moda, è vero, ma penso sia una buona cosa che si produca questa sorta di contagio. La fisicità, la non virtualità rende il festival un’esperienza. Forse non è vero che un bravo filosofo debba sfoggiare anche doti di comunicatore alle folle, quando la sua sapienza si manifesta attraverso le opere scritte, però l’esperienza dell’incontro può offrire qualcosa di unico, che è poi la qualità anche del teatro e dello spettacolo dal vivo in genere. In un’epoca in cui tutto è tecnicamente riproducibile, l’incontro fisico con un sapiente ha un valore. Poi può essere che ci siano festival più furbetti di altri, ma non è questo che mi spaventa nel nostro Paese oggi, non direi che c’è un “allarme festival”. Forse qualche altro allarme…

Questo autunno lei sarà impegnata in uno spettacolo sul 50° anniversario della strage di piazza Fontana, al Piccolo Teatro…
Sì, sarà una narrazione orale e sento fortemente la responsabilità di questo appuntamento con la nostra storia recente. Il 1969 fu un anno difficile per l’Italia. Una voce femminile, la mia, cercherà di tenere insieme la dimensione personale e quella politica. Insomma, sono molto onorata che me l’abbiano chiesto, e forse anche Edith sarebbe stata contenta, perché quando si trattava di prendersi delle responsabilità lei non si tirava indietro. Lo vede, mi piace sempre mettere a valore le coincidenze che ti offre la vita.

 

di Francesco Rossetti

 

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