Moby Dick in piazza: l’intervista all’artista Stefano Tè

Un’impresa nel mare aperto del ‘teatro che rischia’ e che ama le grandi narrazioni, quella del Teatro dei Venti, che mercoledì 6 giugno, alle 21, in piazza Roma, presenterà in anteprima il suo nuovo spettacolo di strada, ovvero “Moby Dick”, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Herman Melville (nella foto, un momento di prova). In scena un cast strabordante di attori, performer, acrobati, musicisti e tecnici-scenografi, tutti diretti da Stefano Tè, che racconta il lavoro in una pausa delle prove.

Stefano, cosa vi ha condotto a Moby Dick, tanto da farne il vostro nuovo spettacolo?
Il cuore del romanzo è l’impresa, varcare la soglia del proibito. Ecco, in qualche modo è quello che proviamo a fare noi, giorno per giorno, con il teatro, la vita che abbiamo scelto di percorrere. Così come si va per mare, anche noi ci siamo imbarcati in questa impresa.

…che è un viaggio verso l’ignoto, perfino un’ossessione…
Riuscire a varcare la soglia del consentito e del conosciuto ha sempre a che fare con il turbamento, con qualcosa di irrisolto. Il capitano Achab stesso ha qualche conto in sospeso, non con la balena, ma con la vita. La sua ossessione è in qualche modo condivisa da tutti noi, che continuiamo a perseguire sfide ambiziose, nonostante i consigli di ‘trattare il teatro’ con ragione e moderazione. Ripeto, ci siamo buttati in questa impresa con un’alta quota di rischio. Man mano che ci avviciniamo al debutto, ci sentiamo sempre più vicini alla storia.

Il Pequod prende il largo sul mare, voi sugli spazi urbani. Piazza Roma è grande ed è inedita per un lavoro teatrale di queste dimensioni?
Da sempre portiamo avanti due strade come compagnia: ci spingiamo dentro luoghi chiusi solitamente ‘proibiti’ come il carcere; e pratichiamo gli spazi urbani. Portiamo il teatro tra quel pubblico che amo tanto perché non ha né il pregiudizio, né le ‘buone maniere’ del pubblico delle sale. Voglio arrivare alla bimba col gelato, al passante che passeggia e che magari non è venuto apposta. Riuscire a stare un’ora e mezza con queste persone è una bella scommessa.

Differenze fra la sala e la piazza?
E’ un esercizio che amiamo fare, quella di passare fra le due dimensioni. Al chiuso c’è uno sguardo che cura il particolare. Sulla strada cambi prospettiva. Lo sguardo si fa più ampio.

La ciurma come è composta?
Veniamo da un percorso lungo tre anni di selezioni di attori e performer e musicisti. Abilità incontrate in diverse fasi, scuole di teatro e di circo, in giro per il mondo. 20 musicisti e attori, e 10 persone di staff. Lo spettacolo in tournée avrà quindi 30 persone in giro. Un’impresa in contrasto con quello che accade con il teatro italiano, ormai quasi tutto declinato su monologhi e poco più. Organizziamo il festival Trasparenze e quando cerchiamo progetti ambiziosi e grandi, ci ritroviamo spesso con un pugno di mosche. Ecco, vogliamo pensare a grandi eventi che accolgano la comunità.

Usate le botti della tradizione campana, giusto?
Nel romanzo di Melville le botti vengono citate spesso. In Campania vengono suonate per essere di buon auspicio e cacciare il malocchio prima del raccolto, e ha a che fare con la scaramanzia e il male. Insomma, era un segno giusto…

Ti senti un po’ Achab?
Spero di non fare la stessa fine. Achab finisce male, a Ismaele va un po’ meglio.

di Francesco Rossetti

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