Modena Ieri & Oggi: la storia della Chiesa della Madonna del Voto

Avete presente la Chiesa della Madonna del Voto in centro, lungo via Emilia? Senz’altro sì, perché si staglia con una certa solennità in fondo a corso Duomo (che nel ‘600 si chiamava strada del Seminario), quando si arriva da corso Canalchiaro o affaccia direttamente da piazza Grande. La buona notizia è che questo tempio così significativo e prezioso per la città sta per essere – come si usa dire – restituita ai modenesi. Hanno infatti preso avvio nella prima metà di agosto i lavori per il suo restauro, comprensivo di messa in sicurezza anti-sismica: un intervento importante perché si tratta di una delle cinque chiese del centro fortemente danneggiate dal terremoto del 2012 e rimaste chiuse a lungo. La chiesa del Voto è legata alla peste, quella che colpì l’Europa intorno al 1630, proprio quella descritta da Alessandro Manzoni nel nostro romanzo ottocentesco per eccellenza “I Promessi Sposi”. Fu il superamento di quella terribile epidemia a propiziare, non solo a Modena, non solo in Italia, la costruzione di molte nuove chiese. Qui da noi la decisione venne presa nel giro di poco tempo, per voto unanime del Ducato e della municipalità. Da allora i modenesi la chiamano anche ‘chiesa nuova’.

Parliamo dunque di una chiesa di proprietà del Comune di Modena, con l’amministrazione comunale che vanta ancora il diritto di nomina del rettore della chiesa, sia pure dietro indicazione dell’autorità diocesana. Il concorso (ebbene sì, già allora era una pratica in voga) per la sua progettazione venne bandito nel 1633 e fu vinto da Cristoforo Malagola, detto “il Galaverna”. La posa della prima pietra avvenne il 20 aprile 1634. La sua inaugurazione venne celebrata il 13 novembre del 1636, in coincidenza con il sesto anniversario della fine della peste, nel senso che in quel fatidico giorno autunnale del 1630 non veniva più segnata nessuna vittima, per la prima volta dopo mesi. Ma i lavori proseguirono ancora fino al 1640: per esempio la cupola venne completata nel 1638. Ad ogni modo il 13 novembre rimane il giorno dedicato a Sant’Omobono, che è compatrono di Modena. A colpire della chiesa è anzitutto la sua facciata, con una sua solenne e classica eleganza che si articola in due ordini sovrapposti. In cima al frontone, spicca, o meglio spiccava (venne rimossa dopo l’ultima inquietante e pericolosa caduta), una grande palla di pietra sormontata da una croce. L’interno è a una sola navata, con una cupola che viene considerata una meraviglia dell’architettura seicentesca. Dentro sono conservate pregevoli tele di Francesco Stringa e Domenico Lana (quest’ultima proprio sulla peste), ma ci sono anche opere attribuite a Guido Reni, quantomeno agli allievi della sua scuola, mentre l’altare è in marmo di Carrara. Di particolare interesse anche la sagrestia ritornata all’antico splendore dopo il restauro del 2011 con interventi mirati alla struttura architettonica, agli arredi lignei e al delicato apparato effimero dipinto da Geminiano Vincenzi e Pietro Minghetti.

di Francesco Rossetti

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