“Modena? Una scoperta continua”: l’intervista a Mauro Felicori

È un manager culturale di lungo corso, Mauro Felicori, ma solo negli ultimi anni ha acquistato una reputazione di altissimo profilo per la direzione della Reggia di Caserta, rifiorita grazie alla sua dedizione. Da qualche mese Felicori è approdato a Modena, chiamato dalla Fondazione CRModena per dar vita al progetto “AGO. Fabbriche culturali”.

Direttore Felicori, qual è la ricetta per rendere Modena più attrattiva dal punto di vista culturale?
Deve far leva sui propri punti di forza, lanciare un messaggio di esclusività e di apertura. Nel marketing essere unici o essere i primi è una ragione di interesse. E per esempio quando Modena parla di motori, tutti si tolgono il cappello, perché ne ha titolo. Poi vede, per città come Modena il turismo è quasi una libera scelta. Ce ne sono altre dove il turismo è quasi un obbligo dal punto di vista economico, Modena per contro ne ha bisogno dal punto di vista dell’immagine della città, del tessuto culturale. A me sembra che abbia possibilità di sviluppo enorme. Io sono bolognese, e non sono un ragazzino. Ho avuto tutto il tempo per conoscere Modena, eppure il mio soggiorno in questa città di questi mesi è una scoperta continua. Vuol dire che abbiamo margini importanti di crescita perfino sui bolognesi. Figuriamoci su un pubblico milanese o parigino. Ho visto chiese meravigliose; ci ho tenuto ad aprire Sant’Agostino. Era chiusa dal lunedì al venerdì, ora l’abbiamo aperta. Il duomo è l’inizio della civiltà contemporanea, e nasce a casa vostra. Ecco, adesso posso dire anche ‘a casa nostra’…

Il progetto del nuovo Sant’Agostino ha subito uno stop dalla Soprintendenza. Ne è infastidito?
No, guardo con attenzione agli sviluppi, perché per sviluppare un progetto culturale c’è bisogno di un contenitore adeguato. Il cuore del progetto Ago risiede nell’incontro del digitale con la tradizione umanistica. Il museo del domani è pieno di tecnologie, dove il rispetto del contenitore e della sua storia deve integrarsi con modalità di accesso più semplici ed efficaci. Se conservare vuol dire impedire un uso moderno, non si conserva un bel nulla perché se i luoghi restano vuoti, poi deperiscono. Per conservare bisogna utilizzare, in modo intelligente.

E ora, quali prospettive ci sono per il Sant’Agostino?
Mettiamola così, lo Stato ha bocciato un progetto nel quale la comunità modenese aveva creduto. A me sembra con un eccesso di zelo, ma non è questo il punto. Il punto è che ora dovrebbe esser lo Stato a dire qualcosa di più, per non produrre solo immobilismo. Il complesso Sant’Agostino è vuoto da 15 anni, ci sono soldi che aspettano di essere investiti. Muratori che aspettano di entrare con la cazzuole… Il suo futuro non è un problema solo del sindaco e del presidente Cavicchioli.

Prima parlava di ‘digitale’: pensa si sposi con ‘cultura’?
Penso che il digitale sia una frontiera formidabile. Basta andare su Google e in meno di un minuto si risolvono problemi la cui soluzione solo pochi anni fa avrebbe richiesto giorni. Certo, c’è un problema di selezione delle fonti, però pensi alla Biblioteca Estense. Oggi solo in pochissimi possono consultare i libri antichi. Ricercatori, studiosi eminenti devono venire a Modena se vogliono consultare la Bibbia di Borso d’Este. Presto tutto sarà scansionato. Arriveremo a una biblioteca universale in cui tutto sarà consultabile in rete. Quanto a me, ho quasi 70 anni, si figuri se mi metto a leggere un libro su uno schermo, ma il futuro va in quella direzione e quello che guadagniamo è incomparabilmente più importante di quello che perdiamo.

Lei è sempre uno stakanovista, come le ‘rimproveravano’ di essere alla Reggia di Caserta?
Intanto ho un forte senso del dovere. Ma se devo esser sincero, mi diverto da matti a lavorare. Lavoro sempre: sabato, domenica… Il mio è un un mestiere meraviglioso. Certo ci sono problemi, guai… D’altra parte il manager viene chiamato quando ci sono dei problemi da risolvere. Tecnicamente sono già in pensione, ma continuo a lavorare finché posso. Spero solo che quando sarò rincoglionito, qualcuno mi avverta.

Quali sono le qualità che deve avere un manager della cultura, anche per dirlo a chi comincia oggi…
È un mestiere difficile perché contempla tante e tali capacità… devi saper fare tante cose diverse. Siamo come gli atleti del Decathlon. Se adesso le chiedo di dirmi il nome del campione mondiale di Decathlon, lei non lo sa. E neanch’io. Mentre conosciamo i centometristi. Ecco, il nostro è un mestiere umile che ha bisogno di una formidabile capacità di ascolto e di osservazione. Il lavoro culturale non è come quello degli ingegneri che tirano su ponti e palazzi, ma assomiglia a quello del giardiniere che toglie le erbacce, annaffia quando c’è bisogno, mette all’ombra le piante che soffrono del sole, e viceversa. Un giardiniere cura il suo territorio e ha la pazienza di aspettare che le cose crescano. Sono orientato al marketing territoriale.

Bisogna avere anche il fiuto?
Anche quello è molto importante perché fa risparmiar tempo. Ma si basa sull’esperienza. Noi non disponiamo quasi mai di tutti gli indicatori per misurare scientificamente cosa vale e cosa non vale. Il fiuto è legato anche al coraggio, perché se sbagli, il primo a non perdonarti sei tu. Perlopiù, finora, ci ho preso…

 

di Francesco Rossetti

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