Zen in cerca di sé stessa: l’intervista alla regista Margherita Ferri

Adolescenza, ricerca di sé e bullismo: temi non facili da sviluppare in un film. Il miracolo riesce con “Zen sul ghiaccio sottile”, appena uscito nelle sale che la regista 34enne Margherita Ferri (nella foto) ha girato sul nostro Appennino, potendo contare sull’interpretazione mimetica di una giovane protagonista, la bolognese Eleonora Conti. Le abbiamo incontrate entrambe prima dell’incontro con il pubblico della Sala Truffaut, al completo per l’occasione.

Margherita, anzitutto quali sono i tuoi legami ‘artistici’ con Modena?
Ci ho girato il mio documentario di diploma del Centro sperimentale di Cinematografia: uno dei personaggi del film era proprio di Modena.

Questo film è girato in buona parte a Fanano e Fellicarolo: come mai?
Il soggetto iniziale non era ambientato sull’Appennino, ma insieme ai produttori bolognesi di Articolture (Ivan Olgiati e Chiara Galloni) abbiamo deciso di spostarlo in un territorio ‘nostro’. Il Palaghiaccio di Fanano ha trasformato in positivo la storia, dandole un valore aggiunto. Abbiamo girato anche al rifugio “I Taburri”, alle cascate del Doccione e in boschi scovati intorno a Fellicarolo. L’humus tipico delle realtà montane era quello che cercavo per questa storia.

La storia è quella di una ragazza di 16 anni che cerca una propria identità, anche sessuale: un tema giusto per esordire nel lungometraggio?
Sì, decisamente. In passato, com’è normale, ho lavorato spesso a progetti che non partivano da me, invece questa è un’opera molto personale, in parte autobiografica rispetto ai sentimenti principali. È un film che può rappresentare la mia visione di regista.

Si sentono echi di cinema europeo: penso alla francese Céline Sciamma, allo svedese Lukas Moodysson…
Beh, i loro sono i film che mi piacciono, in Europa. E poi, oltreoceano, i miei riferimenti s’innestano nella cinematografia indipendente americana come i film di Gus Van Sant e Xavier Dolan, oppure “Moonlight” di Barry Jenkins.

Nelle realtà più piccole sembra esserci una grande difficoltà ad accettare le ‘diversità’: è così?
Forse è vero che in una grande città si incontra con la diversità in maniera più frequente e varia; c’è quindi un margine di libertà forse maggiore nel vivere ed esplorare se stessi. In una piccola comunità si cresce con le stesse persone; l’immagine che la comunità ha di te rimane sempre la stessa e diventa fatalmente una gabbia. Maia e Vanessa cercano di uscire dal ruolo che gli altri hanno disegnato per loro, cercando di trovarsi.

La protagonista del film, Eleonora Conti

Oltre a essere molto secco e incisivo, il film sembra contenere anche un’impronta fumettistica per le divise da hockey e anche i capelli sparati in alto degli adolescenti…
Ah (ride), quello dei capelli è un dettaglio più legato al realismo. Abbiamo fatto il casting con tutti non-attori e ho cercato di mantenere intatti i loro modi di vestirsi e pettinarsi. La nostra costumista e parrucchiera faceva fatica a tener sù tutti quei ciuffi… E comunque l’altro personaggio del film (Vanessa, l’amica di Maia), in effetti disegna spesso…

Perché i sedici anni sono sempre un periodo complicato?
È un’età in cui si ha un forte bisogno di autenticità. Allo stesso tempo si reagisce alle vicende della vita spesso in modo esagerato, si sbaglia ed è proprio questo che mi affascina dell’adolescenza.

 

di Francesco Rossetti

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