Un vino a tutto pasto: l’enologo Ivan Bortot racconta di sé stesso e del Pignoletto

Pignoletto, mon amour! Lo dicono gli ultimi dati sui consumi. Il prelibato bianco che si vinifica a Castelfranco Emilia è forse l’unico vino che cresce a due cifre nella grande distribuzione. Uno dei massimi esperti di questo particolare vitigno è Ivan Bortot, veneto da quasi mezzo secolo trapiantato in terra emiliana.

Bortot, mi racconta in cosa consiste il mestiere dell’enologo?
L’enologo è il professionista che è in grado di compiere un percorso completo, partendo dal vinacciolo arrivando sulla tavola con la bottiglia di vino. Il suo compito è sorvegliare e assicurare la qualità di questo percorso. È in sostanza l’unica persona che sa di vino.

Il vino è qualcosa di liquido, di difficilmente definibile… Tra le qualità di un bravo enologo prevale la conoscenza tecnica o la passione?
In qualsiasi lavoro, se non ci si mette un po’ di passione, si è sbagliato strada. Per fare l’enologo ci vuole una laurea in più che ci dà madre natura. Non esiste calendario per l’enologo. Quando c’è una fermentazione da seguire – quale che sia il periodo dell’anno – tutto il resto passa in secondo piano. L’enologo è al servizio della natura-vino.

E quanto incidono le radici familiari e territoriali?
È una domanda personale, ognuno risponde per sé. Nel mio caso le radici incidono molto. Noi veneti andiamo a studiare alla ‘sacra’ Scuola Enologica di Conegliano (ndr. istituita con Regio Decreto di Vittorio Emanuele II nel 1876). Nel Veneto il vino e la vite sono norma di esistenza. La tavola viene imbandita con due elementi che vengono prima di tutti gli altri: il pane e vino.

Quali sono le caratteristiche del Pignoletto? Perché si chiama così?
Il nome viene dall’uva pignola. Deriva, in sostanza, dalla forma del grappolo.È un vino leggero, fresco, pieno di sentori aromatici. È un vitigno non squisitamente autoctono, ma questo riguarda tutta l’Emilia Romagna che storicamente ha vitigni d’importazione, impiantati in epoca romana. I primi insediamenti si hanno a Bentivoglio, nel bolognese. Poi il vitigno è salito verso la collina ed è ridisceso in pianura.

A Castelfranco Emilia…
Sì, a Castelfranco, perché è un luogo che ha espresso due cantine sociali e una miriade di piccoli produttori. Castelfranco è diventato un centro di vinificazione del Pignoletto, grazie alle Cantine Riunite CIV, che vinificano circa il 50% del mondo Pignoletto.

Cosa si fa in termini di tutela?
Abbiamo in corso da tre anni a Bruxelles una pratica: se andrà a buon fine, il termine Pignoletto potrà essere utilizzato solo nella zona di produzione. Ma le contraffazioni ci sono già. Il Lambrusco fa scuola perché tutte le pratiche che ha istruito contro falsari di turno sono state vinte.

Da quanto tempo è nel settore?
Lavoro con il Pignoletto da 45 anni. Sono presidente dell’Unione dei Consorzi dell’Emilia Romagna. Sempre a stipendio zero (e quest’ultima è una brutta passione, dice mia moglie). La verità è che mi diverto ad andare in mezzo alle vigne a vedere la fioritura, la qualità dell’uva, anche in pensione. Come Unione dei Consorzi, cerchiamo di ottimizzare i costi, nell’ottica di tutelare il contadino che lavora dalla mattina alla sera. Sono legato al mondo cooperativo, voglio sempre tutelare chi lavora.

Insomma, è un vino che fa bene anche in età da pensione?
Sì, se bevuto con gusto e moderazione, con piacere e in convivialità.

Perché il Pignoletto piace così tanto?
Beh, sicuramente va incontro a quelle che sono le nuove esigenze di mercato. È un vino leggero, in più la bollicina è un aspetto gradevole e ben accettato dal consumatore. Inoltre il Pignoletto, come vitigno, ha uno spettro ampio di possibilità: si adatta a essere frizzante, spumante e fermo, contemporaneamente.

È vero che si accompagna benissimo al pesce?
Perbacco! Come tutti i bianchi è un vino che si sposa benissimo con il pesce, ma a differenza di altri bianchi, il Pignoletto ha anche una certa struttura, quindi si adatta anche a carni bianchi oppure a fine pasto con i dolci. Lo definirei un vino a tutto pasto.

È vero che lei è anche un teatrante a km 0?
No, sono salito sul palco del Teatro Dadà, ma solo per gioco. Non avevo mai fatto teatro, ma il mio amico Giovanni Boccaletti mi ha detto: vieni a fare una piccola parte. Mi sono prestato perché a un amico tendenzialmente non dico mai di no. Dopo la prima, però, qualcuno mi ha preso sottobraccio e mi ha detto: Ivan, tu è meglio se continui a far del vino.

Ma lei si sente più veneto o più emiliano?
Vivo qui in Emilia dal 1972. Ribadisco di esser veneto, ma qui mi sono trovato molto bene, anzi vado fiero di essere un veneto che vuole difendere e preservare il carattere emiliano, lo spirito di questa terra che ha caratteristiche uniche.

 

di Francesco Rossetti

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