Una canzone collettiva per esorcizzare il virus: l’intervista a Davide Turci, infermiere e musicista

Tutto bene?” Approccio Davide Turci con una domanda convenzionale. Segue un piccolo silenzio, poi arriva la risposta: “Nei limiti di norma”. E si intuisce un sorriso ironico. Il musicista solierese sta vivendo un periodo particolarmente intenso, perché in un contesto decisamente ‘fuori norma’ come quello del Coronavirus, tiene insieme due ruoli: quello di infermiere del 118 e quello del musicista, con una canzone appena scritta e condivisa con tanti altri musicisti.

Davide, partiamo dalla tua esperienza personale. Come hai passato queste settimane di emergenza Covid-19?
In realtà per me marzo doveva essere un mese di svolta, anzi il mio momento di rinascita. Ho fatto il soccorritore al 118 per vent’anni, dal 2000 al 2020. Da qualche anno nutrivo l’intenzione di cambiare attività. A metà febbraio ero stato destinato al dipartimento di salute mentale di Modena, anche perché sono molto interessato alle dinamiche legate alla riabilitazione e alla musicoterapia. Proprio nel periodo di cambiamento, è scoppiata l’emergenza e la mia azienda (USL di Modena) mi ha ricollocato nella mia mansione di origine”.

Com’è fare il soccorritore?
E’ una professione da prima linea. Dal punto di vista fisico e psicologico l’emergenza ti lascia le sue cicatrici. Fare notti da 11 ore e rimanere concentrati è oggettivamente faticoso”.

Sei anche andato in autoisolamento, vero?
Sì, perché a un certo punto mi è venuta la febbre. Ero preoccupato di aver ‘portato la bomba’ in casa, perché nei giorni precedenti avevo avuto rapporti con i miei genitori. Fortunatamente il tampone è risultato negativo, e poi sono tornato operativo”.

Andiamo alla canzone: “Anche il resto dell’anno”…
L’ho scritta come sfogo, nel periodo di isolamento. La musica per me è sempre stata un grande supporto psicologico. Dico sempre che invece di romper vetri, scrivo testi”.

Avevi già gli accordi? Com’è venuto fuori il testo?
Ero in attesa del tampone, ed ero teso. L’ho scritta di getto. Accordi molto semplici. Cantata di getto, non a metronomo: suonata in diretta. Confesso che ero in un momento di stress che dovevo esternare. I miei colleghi sanitari rischiavano la vita e venivano derisi. La gratitudine a queste persone deve essere espressa tutto l’anno. Mancare di rispetto a loro vuol dire mancare di rispetto a una società intera”.

Com’è venuta l’idea di coinvolgere altri musicisti?
Intanto per me la musica è un veicolo di condivisione straordinario. Abbatte le barriere generazionali. Ho pubblicato il pezzo su Facebook, buttando lì una frase: se qualcuno fosse stato interessato… Poi la notizia ha avuto un ritorno che non mi aspettavo, e sono arrivati una trentina di contributi. Ho dovuto cominciare a dire che non riuscivo ad accettarne altri. Sarà un’impresa montarli su un pezzo da 4 minuti e mezzo. Ci sono musicisti di professione, e vorrei fare onore a tutti. Però sono stati gentilissimi: mi hanno detto, fai quello che vuoi, prendi il pezzettino che credi”.

I musicisti di dove sono? Anche non emiliani?
Sì, per esempio Michele Pelonara che è un bravissimo chitarrista marchigiano. Tra l’altro anche lui faceva il mio mestiere. Osvaldo Di Dio è un musicista e fonico molto bravo e vive a Bologna. Sono anche persone che spesso non sentivo e vedevo da un po’, quindi è stato bello riannodare i contatti in questa occasione. Finito il missaggio audio sarà Matteo Luppi, il mio batterista storico, che è anche un videomaker, a costruirci intorno le immagini. Ed ogni volta che si vedrà, in sovraimpressione andrà l’Iban dell’Ausl di Modena, perché garantisco che in questo momento c’è davvero bisogno di risorse economiche aggiuntive per l’acquisto di materiale”.

Mi colpisce il verso iniziale “Ho perso il tuo volto tra le pieghe di una mascherina”. Questa mancanza di contatto porterà ad impoverirci sotto il profilo umano?
Secondo me sì. Noi italiani abbiamo un approccio fisico nel momento del saluto: stretta di mano, abbraccio. Ma forse questa distanza obbligata sarà motivo di imprinting per le nuove generazioni, chi lo sa”.

 

 

di Francesco Rossetti

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