Giuliano Corradi, professione allenatore

Modenese doc, Giuliano Corradi è uno dei più stimati allenatori italiani di atletica leggera, specializzato nel salto in alto. È uno sport che ha anche praticato da giovane, prima che un infortunio al ginocchio ne interrompesse la carriera agonistica. Allena presso la società La Fratellanza.

Corradi, il salto in alto appare come una disciplina dell’atletica leggera tra le più complesse, è così?
Sì, forse ha trovato la definizione giusta: è complessa. Il saltatore deve avere specifiche caratteristiche, tutte insieme. Dev’essere coordinato, molto dinamico, molto elastico. Nello stesso tempo, per poter avere dei risultati che si mantengano ad alti livelli, dev’essere stabile nella tecnica. In più ha bisogno di doti di acrobatica, perché il valicamento dell’asticella, con lo stile dorsale è un elemento decisivo. E contano anche gli aspetti psicologici. L’atleta in due ore si trova a dover fare scelte che impongono una preparazione molto importante.

Qual è la fase più delicata?
Ogni azione, dal punto di vista tecnico, è conseguenza di quella precedente. Il valicamento dipende dalla rincorsa e dallo stacco. La rincorsa è inizialmente rettilinea, poi si fa curvilinea nella parte finale. Lo stacco, cioè quando ci si eleva da terra, dev’essere effettuato in modo estremamente efficiente, alleggerendo quanto più possibile l’azione.

L’atleta dev’essere comunque alto?
Più il centro di massa è alto, meglio è. Ma più che l’altezza in sé, è la proporzione fra peso e altezza a essere fondamentale. Deve pesare molto poco. Avrà notato che i saltatori sono tutti molto magri, soprattutto le donne. Non dico che siano anoressiche, ma particolarmente magre sì. Sto allenando Chesani, in procinto di andare a Rio: è alto 1,92 metri e pesa 80 chili, e in tal senso lui è uno di quelli “pesanti”.

Quando ha scoperto la passione per il salto in alto?
Da quando ho cominciato a fare attività motoria. Non dico che fossi predestinato, ma da bambino l’avevo nel sangue. Poi purtroppo a 20 anni, per un problema al ginocchio, ho dovuto smettere. Peraltro saltavo ancora con un altro stile, quello dello scavalcamento ventrale.

Il Fosbury fu una rivoluzione?
Una rivelazione inaspettata. Alle Olimpiadi del 1968 il mondo conobbe questo stile, che sfrutta al meglio la velocità e l’agilità. Era talmente redditizio che ha soppiantato, in pochissimi anni, lo stile precedente.

Come ha cominciato ad allenare?
Il professor Antonio Brandoli mi chiese se ero disposto ad allenare in società. Accettai e non ho più smesso. Ero già insegnante di educazione fisica e mi è sempre piaciuto allenare i più giovani. Sono stato fortunato, ho avuto atleti di un certo livello: almeno cinque saltatori che hanno superato i 2.30 metri, partecipato a Olimpiadi, campionati del mondo, etc. Ora possiamo ben dire che Modena è il centro d’élite per il salto in alto italiano.

Del caso Schwarzer, che ne pensa?
Le dico la mia opinione in generale. Sono assolutamente contrario al doping e i miei 40 anni di carriera sono improntati in tal senso. I risultati sono sempre il frutto del duro lavoro, c’è solo quello. Pertanto pretendo severità con chi viola le regole, che vanno rispettate.

E della decisione di escludere la Russia, che ne pensa?
Andava presa molto prima, si sapeva che da anni non rispettavano le regole. Il laboratorio di Mosca copriva, c’era una connivenza. Senza doping i risultati sono cambiati completamente.

L’atletica leggera italiana non sembra attraversare un buon momento…
È così e non è così. È vero che non abbiamo molte punte. Però Tamberi, nel salto in alto per l’appunto, ha acquisito una stabilità psicomotoria e tecnica notevole. La stessa Grenot può aspirare a una finale. Poi ci sono sempre specialità come la maratona, la marcia…

Modena è una città positiva per lo sport?
Lo è, anche per l’atletica, che non può competere con la visibilità di altri sport di squadra. Ricordo che a Pechino 2008 portammo diversi atleti modenesi: Campioli nel salto in alto, la Elisa Cusma nel mezzofondo e così via.

Di Francesco Rossetti

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