La voce del Palapanini: l’intervista ad Antoine, indimenticabile speaker gialloblù

E’ un pezzo di storia dello sport modenese che, dopo trent’anni, sembra deciso a farsi da parte. Parliamo di Antoine, leggendario speaker del Palapanini che, al termine di Gara 4 tra Modena e Lube, ha appeso il microfono al chiodo, ammutolendo il “Tempio della Pallavolo”.

Domenica 15 aprile è stata la tua ultima partita. L’anno prossimo però il Palapanini sembrerà vuoto senza di te…
La partita con la Lube ha sorpreso anche me dal punto di vista psicologico. In occasione di gara 2 avevo rispolverato la famosa maglia, della stagione 88/89 quella dell’ultimo Scudetto dell’era Velasco, che divenne famosa per l’espressione “Gli occhi della tigre”. A un certo punto il centrale avversario Candellaro, dopo aver fatto un punto, si gira verso di me dicendo “Quella maglia è per me. Io ho gli occhi della tigre”. Ho capito che avremmo perso: loro avevano colto lo spirito della maglia, cosa che speravo riuscissero a cogliere i nostri ragazzi. Il pubblico ha sbagliato a bersagliare di fischi Juantorena. Quando un giocatore forte viene attaccato continuamente si carica di più, e di fatto è stato decisivo nel momento cruciale del match.

In oltre 30 anni di partite, quale ti è rimasta nel cuore?
Ricordo con piacere una partita non tanto importante ma allo stesso tempo indimenticabile. Nella stagione 90/91 Modena non aveva molti sponsor, a parte la Philips, e lottava per non retrocedere, con una squadra di semi sconosciuti a parte un paio di ottimi giocatori (Hugo Conte e Waldo Kantor n.d.r). Giocammo contro Ravenna che, in quel momento dominava il campionato con una squadra di fenomeni come Timmons, Kiraly, Vullo e Gardini. Modena vinse incredibilmente 3-2 e vidi tantissima gente che si abbracciava piangendo. Fu un’emozione incredibile.

Se ti dico 2011, gara 4 di semifinale con Trento, cosa ti ricordi?
Quel match è entrata nell’immaginario collettivo internazionale. Io ho presentato qualsiasi manifestazione sportiva, tranne le Olimpiadi, e tutte le volte che gli arbitri internazionali venivano al Palapanini, il delegato italiano mi presentava e loro mi riconoscevano per quell’episodio. Mi sono creato questa “pubblicità” per aver fatto qualcosa di spontaneo e semplicissimo. Non riuscivo a capire perché non venissero mai premiati col titolo di MVP i liberi. In quella partita, durante un’azione di ribatti-ribatti, Loris Manià fece tre interventi meravigliosi e il tutto venne coronato da un punto nostro. Ci fu un apoteosi. Mi venne istintivo lanciarmi in campo per abbracciarlo, ma in quel momento mi si pararono davanti anche gli altri giocatori, perciò ci siamo trovati tutti abbracciati e io ho realizzato di essere nel posto sbagliato. Per cui rapidamente ho cercato di scappare prima che mi vedessero. La reazione dei due arbitri e della panchina avversaria (l’allora allenatore di Trento era Stoytchev) fu quella di mettersi a ridere, perché una cosa del genere non si era mai vista. Mi spaventai moltissimo perchè pensavo che, in caso di vittoria di Modena, Trento avrebbe potuto fare reclamo. Per cui mi auguravo una sconfitta. Ma alla fine vincemmo noi e mi preoccupai per le successive 24 ore. Infine la società ricevette una multa di 250 euro, che io mi ero prontamente accinto a pagare, ma che non fu necessario. Però la paura di aver fatto perdere Modena mi ha attanagliato per un’intera giornata. In seguito il video divenne virale. Di una cosa ne vado fiero: nessun giocatore o dirigente avversario si è mai lamentato del mio lavoro. Il rammarico di chi non gioca più, come Zlatanov, è quello di non essere venuto a Modena e scoprire quale soprannome gli avrei affibbiato.

Da dove nascono i soprannomi che dai ai giocatori?
Nascono spontaneamente. In molti mi chiedono, ad esempio, da dove provenga il “Zuppa Inglese” riferito a Earvin Ngapeth. La Zuppa Inglese è un dolce i cui colori sono il giallo della crema, il marrone del cioccolato e il rosso del liquore e, per un certo periodo, Ngapeth venne al Palapanini coi capelli gialli e rossi. Ma soprattutto la Zuppa Inglese è un dolce che ti piace o lo detesti, e l’asso francese ha sempre fatto la differenza in negativo o in postivo. Urnaut a causa mia è più conosciuto come “Tineeee”. Fabio Vullo, invece, mi ha chiesto di non chiamare nessuno “Le Mani”. I giocatori sono gelosi e tengono molto ai soprannomi. E io non ho mai voluto creare problemi: ognuno aveva e avrà il suo.

Nel corso degli anni sono passati tantissimi campioni a Modena. Un tuo sestetto ideale?
Purtroppo non posso risponderti perché sono molto nostalgico. Innanzitutto ci tengo a ringraziare la famiglia Panini, la prima grande famiglia di proprietari. Andavo al Pala Molza per  vedere Sibani, mio compagno di scuola e grandissimo attaccante, Goldoni e Lanfranco Padovani; mi presentavo con un secchio d’acqua e un cucchiaio per fare il tifoso. Già da allora ebbi l’onore di conoscere la famiglia Panini e tutti i presidenti successivi, come Vandelli. Quando vinse uno scudetto, si lanciò in campo cercando disperatamente qualcuno da abbracciare ma nessuno lo considerava, lui minuto con il suo parrucchino che non dimenticherò mai. I fratelli Grani, Pietro Peia (prima procuratore e poi Presidente nonostante le difficoltà) e poi tutti gli altri fino ad arrivare a Catia Pedrini. Per quanto riguarda gli allenatori verrebbe facile dire Julio Velasco, ma cito anche Daniele Bagnoli, il quale ogni volta che ci veniva ad affrontare con la Sisley Treviso diceva ai suoi giocatori: “Antoine garantisce 2 punti a set, ma loro ne devono fare altri 23 per vincere. Quindi non fatevi influenzare o innervosire da quello che dice” e lui aveva a che fare con una squadra di campioni. Ho avuto ottimi rapporti con tutti gli allenatori, anche quelli che sono rimasti per poco tempo, come Tubertini o Piazza, ma anche con tutti i membri dello staff: io portavo le paste quando si perdeva e non mi facevo vedere quando si vinceva. Per quanto riguarda i giocatori Vullo, Bernardi, Cantagalli, Cuminetti, Van De Goor, Ball, Iakovlev ovvero la prova evidente che non conta fare una vita da atleta per essere un fenomeno. Di recente, Raul Quiroga mi ha scritto “Il Palapanini non sarà più lo stesso, sono onorato di averti conosciuto” e anche tanti altri mi hanno messaggiato. Mi ha fatto enormenente piacere che le tifoserie di Perugia e Civitanova miabbiano invitato a vedere la finale Scudetto, ma ho dovuto rifiutare per rispetto dei loro speaker.

Cosa ne pensi della situazione del Modena Volley?
Non condivido come è stato esonerato il coach Radostin Stoytchev, perché credo che avrebbe avuto tutto il diritto di difendersi, inoltre mi sembra eccessivo farlo passare per il male assoluto. Auguro alla società di riuscire a realizzare i loro progetti. Auspico però che non ci siano nuovamente momenti difficili a livello decisionale la prossima volta che dovesse tornare a piovere, perché se perdi la testa una seconda volta poi non sai più a chi dare la colpa.

Continuerai a seguire come tifoso il calcio e la pallavolo?
Ho dato disposizioni testamentarie che le mie ceneri vengano disposte in parti uguali al Braglia e al Palapanini. Con la mia trasmissione (Tutti in Campo ndr) ho seguito tutti gli sport, cercando di dare loro dignità e rispetto. Però sarei bugiardo se dicessi che per me sono tutti uguali: il Modena mi ha dato vent’anni importanti della mia vita e la pallavolo trenta da speaker e prima ancora altri dieci da tifoso e appassionato.

Se quest’estate ci fosse un plebiscito per riportarti al Palapanini, ci penseresti oppure è una scelta definitiva?
Adesso ritengo che la decisione sia definitiva, perché altrimenti sarei come quelli che vogliono dare spazio ai giovani e poi rimangono attaccati alla poltrona. L’unica cosa che mi lascia perplesso è quanta voglia e impegno ci metterà il mio sostituto una volta conosciuti tutti i retroscena. Per cui nell’eventualità che il candidato non si senta pronto, io sono disposto a fare il “panchinaro”. Fare lo speaker nella finale Scudetto è motivo di gratificazione, ma esistono anche altre partite, come Modena-Sora.

di Mattia Amaduzzi

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