Nemanja Petric, di professione schiacciatore

Il maggio 2016 rimarrà sempre impresso nella memoria di Nemanja Petric, schiacciatore serbo di Azimut Modena Volley: nel giro di pochi giorni ha conquistato il suo primo scudetto da quando è in Italia ed ha vissuto la grande emozione di diventare padre: “E’ stato davvero un maggio speciale – racconta il capitano gialloblù – sognavo da sempre di vincere il campionato italiano, che resta uno dei più seguiti al mondo. Noi ci siamo riusciti davvero meritatamente grazie ad un gruppo che ha lavorato e sudato tantissimo. Poi, a fine maggio, il 25 per la precisione, è arrivato mio figlio Uros ed è stata un’altra emozione incredibile, la più importante della mia vita”.

Facciamo un passo indietro. Quando ti sei avvicinato alla pallavolo?
A 10-11 anni, ai tempi della scuola. Andavo a giocare con i miei compagni di classe, inizialmente solo per divertimento. Abbiamo cominciato a partecipare a piccoli tornei e, andando avanti, è diventata una vera passione. Intorno ai 16 anni, quando sono andato via da casa, ho capito che la mia vita poteva essere questa.

Hai praticato altri sport prima di scegliere il volley?
Certo, come tutti i bambini giocavo a calcio, a pallacanestro e non solo. Poi nel mio paese c’era una buona scuola di pallavolo e sono andato li. In Serbia la pallavolo è diventata uno sport molto importante soprattutto dopo la vittoria delle Olimpiadi di Sidney nel 2000.

Qual è il tuo paese?
Si chiama Prijepolje, un piccolo paese vicino al confine tra Serbia e Montenegro.

Hai qualche ricordo della guerra civile degli anni novanta?
Mi ricordo poco, anche perché ero troppo piccolo, solo un po’ di confusione generale e i miei genitori che seguivano le vicende alla tv. Nella parte della Serbia dove sono cresciuto non è successo praticamente niente. Ho vissuto molto di più la vicenda del Kosovo, quella del ‘99 con i bombardamenti Nato, quando avevo 12 anni. Sono esperienze molto brutte, che lasciano il segno.

Tornando alla pallavolo, quando sei arrivato in Italia?
Nel 2011 a Perugia, dopo una stagione in Belgio. La squadra era in A2 e aveva ambizioni di promozione dopo un campionato in cui si era salvata all’ultimo. Abbiamo costruito un buon gruppo e abbiamo centrato la promozione al primo colpo. L’anno successivo, in A1, abbiamo raggiunto i play off poi, al mio terzo anno in Umbria, addirittura la finale sia in campionato che in Coppa Italia. Una crescita importante.

Poi è arrivata la chiamata di Modena…
Tutti sanno cosa significa Modena per questo sport. Modena è la storia, è la vera casa della pallavolo. Io sono arrivato in un periodo in cui non riusciva a vincere un granché, ma stava costruendo un gruppo importante, con Lorenzetti, Bruno, N’Gapeth e tanti altri. E’ stata un’occasione di crescita, per imparare e migliorare ancora.

A Modena città come ti trovi?
Io e mia moglie ci viviamo molto bene, posso dire ogni anno meglio. Il primo anno abitavamo un po’ fuori e non si riusciva a vivere proprio del tutto la città. Poi ci siamo avvicinati al centro e al palazzetto e lì si sente proprio come si vive a Modena. Possiamo dire che è la nostra seconda casa.

C’è qualcosa in particolare che ti piace della nostra città?
Tutti parlano del cibo tradizionale che, in effetti, è molto buono. Io invece ti dico l’atmosfera che c’è qui, la grandezza della città, che è ideale per viverci.

Nel tempo libero cosa ti piace fare?
Prima mi piaceva fare qualche viaggio con mia moglie, anche qui vicino, in Italia. Adesso, col bambino piccolo, dedichiamo tutto il tempo a lui e ci piace molto passeggiare per Modena.

Se non avessi giocato a pallavolo cosa avresti voluto fare?
Da piccolo mi piaceva architettura ed ero anche molto bravo a disegnare. Penso quindi che mi sarei dedicato del tutto alla scuola e avrei fatto architettura. Adesso sono iscritto all’università, ma a quella di economica in Serbia e sono vicino alla conclusione. Gli esami li faccio online o in estate quando torno a casa.

di Giovanni Botti

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