“Come eravamo”: Modena, gli anni ’60 e ’70 raccontati in un libro

Gli anni ‘60 e ‘70, le loro storie, i loro personaggi, i modi di vivere e una Modena diversa, più piccola, ma anche più a misura d’uomo. Li ha raccontati Stefano Moschi nel libro “Come eravamo, a Modena e non solo”, edito da Artestampa. “In realtà non avevo intenzione di scrivere un libro di questo tipo – ci spiega Moschiè nato per caso dai social. Su Facebook ci sono tanti gruppi che parlano della Modena di una volta, da Sei Modenese Se a Modena Amarcord, l’ultimo uscito e quello per me più gradevole. Frequentandoli mi sono accorto di avere tante cose da raccontare su argomenti vari, anche scollegati tra loro. Questi non riguardavano soltanto Modena, ma quegli anni in generale. Sono raccontini brevi, aneddoti, storielle senza impegno più che altro descrittive”.

Queste storielle poi sono diventate un libro…
Si, a un certo punto mi sono accorto che ce n’erano davvero in grande quantità e che, organizzate in periodi storici, funzionavano abbastanza bene. Ho cercato di inquadrarle in quelli che sono stati i miei anni della scuola, dalle elementari, alle medie inferiori, alle superiori. Si parte dal 1959, il mio primo anno alle elementari De Amicis, e si arriva fino all’università.

Quanto c’è di autobiografico in questi racconti?
Gli spunti autobiografici sono una traccia per poter raccontare cose, negozi, ristoranti, personaggi, modi di dire e modi di vivere di quegli anni. Ovviamente il capitolo più lungo è quello sugli anni ‘70, che sono stati gli anni in cui ero in piena adolescenza, quelli dell’università. ‘Come eravamo’, non è però un romanzo, è una narrazione fatta di acquerelli, di immagini, è un po’ come sfogliare un album di fotografie.

La protagonista principale di questi acquerelli è Modena?
Sicuramente Modena, ma non solo, come recita il titolo. Racconto anche cose che facevano parte del vissuto generale di quegli anni, non solo a Modena. Ad esempio il corredo dei bambini delle elementari: l’astuccio, il grembiule nero con i gradi, il banco in formica con il buco per la boccetta dell’inchiostro, visto che si usavano ancora i pennini con la cannuccia. Immagini che fanno parte della realtà di quegli anni, ma che si inseriscono nel contesto di Modena, visto che racconto le scuole De Amicis, chi era la maestra o il fatto che dalla mia classe ho visto nascere le Pasquale Paoli.

E’ quindi una città in evoluzione quella descritta in ‘Come Eravamo’…
Certo, e lo si capisce bene nel corso della narrazione. Ad esempio quando racconto delle visite schermografiche, che si facevano al dispensario, o quelle alla Centrale del Latte di via Amendola, dove c’era ancora la campagna. Modena era una città più piccola e limitata. Non c’era ancora il Direzionale 70, via Bonacini non esisteva e c’erano pochi casolari isolati. Una Modena più piccola, meno industrializzata, ma anche più ‘friendly’ e famigliare.

Anche i modenesi erano diversi allora?
Più che altro si usava molto di più il dialetto al punto che non mi fu difficile impararlo, pur avendo origini toscane ed essendo arrivato a Modena quando avevo sei anni.

Nel libro non ci sono foto ma una serie di disegni. A cosa è dovuta questa scelta?
Quando si è posto il problema di inserire nel libro dei contributi fotografici, ho trovato alcune difficoltà. Da un lato la reperibilità di certe foto, dall’altra il copywright. Con l’editore quindi abbiamo deciso di individuare, nella narrazione, gli spunti che si prestassero ad interpretazioni un po’ comiche e di farci dei disegni. Sono venti tavole di mio fratello, che nella vita fa l’avvocato, ma che è sempre stato bravo a disegnare e ha un taglio da fumettista. Sono state realizzate un po’ con la mia sceneggiatura, un po’ secondo la sua creatività. L’unica vera foto è quella di copertina, scattata da me in Corso Duomo in un giorno di pioggia, che dà un aria un po malinconica.

Facciamo un gioco. Se dovesse identificare una caratteristica peculiare per la Modena degli anni Sessanta quale sceglierebbe?
Mah, difficile a dirsi. Più che altro direi una sensazione che ho sempre avuto anche da bambino, quella di grande fermento, entusiasmo, voglia di fare.

E per gli anni Settanta?
Per quel decennio mi vengono in mente le moto. C’era l’autodromo che ospitava la prima prova del campionato Italiano, ci corse lo stesso Giacomo Agostini. Il famoso duello Agostini-Pasolini io lo vidi dal vivo. C’erano tante concessionarie in centro, cosa che oggi sembra incredibile. E poi le macchine in Piazza Grande e soprattutto in Piazza Matteotti di fronte all’Odeon. Ho parlato molto anche della musica, di cosa voleva dire in quegli anni per i ragazzi, dello spaccio dei dischi usati smessi dai juke box. Grattavano, ma costavano 4 soldi e avevano due lati A.

 

di Giovanni Botti

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