Il dialetto e i suoi proverbi: l’intervista allo scrittore modenese Gian Carlo Montanari

Il dialetto nasconde tra le righe dei suoi proverbi, molto del patrimonio di un territorio. Un vero tesoro storico, che una volta rappresentava la principale forma di comunicazione, anche scritta, dove molti studiosi mettono le proprie energie alla ricerca di informazioni perdute. Tra questi, il modenese Gian Carlo Montanari, è uno dei maggiori esperti nel nostro territorio e ha da poco pubblicato “A-t mol in dal bacino”, una raccolta di modi di dire nel nostro dialetto. “Sono quasi quaranta anni che mi dedico a questi argomenti – ci spiega – e ancora oggi scopro termini dimenticati, ricchi di significato”.

Montanari, com’è nato questo libro?
Questo testo rappresenta l’ultimo arrivato di una serie iniziata molto tempo fa. Mi sono sempre dedicato, fin dagli anni 80, al mondo del dialetto dal punto di vista dei proverbi. Quest’ultimo libro è una vera evoluzione, in cui ho cercato di concentrare la mia esperienza e il frutto delle mie più recenti ricerche.

Com’è strutturato?
Il libro è diviso sostanzialmente per schede, con una prefazione di Beppe Zagaglia e un mio approfondimento sul mondo del dialetto. In queste righe cerco di raccontare come il dialetto non stia scomparendo, ma semplicemente cambiando. Quindi un domani il dialetto magari non assomiglierà a quello di oggi, ma esisterà in una forma diversa. Tornando al libro la struttura vede 105 modi di dire, proverbi, a volte soltanto parole. Il tutto diviso per schede, in cui è possibile trovarne la genesi.

Dove ha trovato tutte queste informazioni?
Il mio è stato principalmente un lavoro di ricerca sui testi. È stato infinitamente interessante spulciare archivio di stato, biblioteca estense e archivio comunale. Luoghi dove è possibile viaggiare nel tempo e trovare informazioni altrimenti perdute. Inoltre, un’altra fonte importante sono le cronache antiche.

I proverbi così antichi, rimangono attuali?
Ma guardi, a volte con piccoli cambiamenti questi proverbi resistono. Per esempio ce n’è uno che metaforicamente dice di “essere alla cera verde”. Oggi è diventato il famoso “essere al verde”. Questo nasce da una situazione molto comune in passato, quando non c’era la luce elettrica e bisognava usare le candele. I grossi candelabri che si trovavano nelle chiese, avevano la base che era dipinta di verde. Da qui il collegamento è molto semplice. Per quanto riguarda il significato, quelli meno legati all’attualità, sono i proverbi che riguardano l’ambito contadino. Però quelli con una base psicologica vanno bene ancora oggi.

I giovani conoscono il dialetto?
Purtroppo poco. Direi che bisogna fare una distinzione. A Modena Città sono ormai in pochi a parlarlo, invece nei paesi, ho notato, è più facile sentire parlare i ragazzi in dialetto.

Qual è il suo proverbio preferito?
Io di proverbi ne uso tantissimi. Ma in questo periodo, vedendo tante persone che dicono ogni tipo di sciocchezza, mi viene in mente “Per i cajon non è mai dè”. Poi dentro di me penso che, a mia volta, devo stare attendo a quello che dico, per non fare brutte figure.

Quanto è importante il dialetto per il proprio territorio?
Il dialetto è fondamentale per la memoria storica di un territorio. Questo perché al suo interno contiene il valore del linguaggio. Tra l’altro molti dei proverbi nascono proprio da eventi storici così importanti, che hanno avuto bisogno di un nuovo modo di dire per descriverli.

 

di Francesco Palumbo

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