Il generale Cialdini, raccontato dallo scrittore e storico Roberto Vaccari

Con “Enrico Cialdini. Il generale di ferro” (Elis Colombini editore), lo scrittore e storico Roberto Vaccari prosegue il suo accurato lavoro di scavo nelle biografie di modenesi che hanno giocato un ruolo di particolare rilievo nel nostro Risorgimento. Dopo il romanzo storico dedicato a Ciro Menotti e prim’ancora il saggio su Manfredo Fanti, ecco la prima biografia in assoluto del controverso militare nato a Castelvetro l’8 agosto del 1811.

Vaccari, Cialdini è una figura passata alla storia fra luci e ombre?
Una delle ragioni per cui ho scritto il libro è proprio legata a questo aspetto, perché negli ultimi anni una certa critica malevola ha voluto attaccare Cialdini per alcuni fatti di cui è stato protagonista. Intanto Cialdini è stato uno dei personaggi centrali del Risorgimento italiano. Mazziniano, fece tutta la carriera militare partendo dal basso. Il 3 febbraio del 1831 si trovava con Ciro Menotti quando quest’ultimo venne catturato dal Duca di Modena. Alla fine dell’Ottocento, in alcune immagini dell’epoca, Cialdini viene raffigurato insieme a Vittorio Emanuele II, Garibaldi, Mazzini e Cavour, nel pantheon del Risorgimento. Poi la sua figura è andata declinando. Negli ultimi anni la critica si è fatta anche feroce nei suoi confronti.

Cialdini eroe o criminale?
Sono due categorie che appartengono alla polemica politica e giornalistica, ma che uno storico non prende neanche in considerazione, limitandosi a studiare i documenti e ricostruire i fatti. I critici di Cialdini di solito non conoscono i documenti e vanno un po’ per sentito dire. Nell’estate scorsa il sindaco di Napoli De Magistris ha convocato il consiglio comunale per togliere la cittadinanza onoraria a Cialdini. Ma lo ha fatto sulla base di valutazioni legate al presente.

Perché questa cattiva luce?
Perché nel 1860 guida le truppe piemontesi nell’assedio di Gaeta, dove si era rifugiato il Re di Napoli. Muoiono circa 700 militari napoletani, e circa 300 civili militarizzati. Quando ci sono le guerre, purtroppo sappiamo che avvengono dei fatti molto penosi. C’è poi la questione del brigantaggio meridionale, quando Cialdini è luogotenente di Napoli. Per alcuni mesi del 1861 ha pieni poteri. La repressione è dura e cozza con la nostra etica di uomini contemporanei, ma il brigantaggio era un fenomeno endemico per il Regno delle due Sicilie, i briganti taglieggiavano la popolazione e impedivano i collegamenti fra le città. Nel Regno delle due Sicilie comandavano i baroni, c’era ancora una situazione con caratteristiche feudali. La lotta al brigantaggio in quegli anni non fu molto dissimile da una guerra civile, ma non si possono addossarne le responsabilità al solo Cialdini. Il generale non fu né eroe, né carnefice, e il suo operato va ricostruito e inserito in un’epoca, non si può giudicarlo sommariamente, è bene tenere a distanza le semplificazioni.

Come si afferma, Cialdini, nella sua carriera militare?
Si fa le ossa sul campo, non nelle accademie militari. Nel 1831 scappa inseguito dai mandati di cattura del duca di Modena, prima in Francia a Parigi, poi in Portogallo dove si arruola come soldato semplice. Presto diventa colonnello. Torna in Italia, diventa ufficiale al servizio dei Savoia. E’ generale di brigata nella Guerra di Crimea. Vittorio Emanuele II lo tiene sempre in gran conto.

Vaccari, la vicenda umana di Cialdini, in giro tra Francia, Portogallo e Spagna, oltreché l’Italia, ce lo restituisce come un cittadino d’Europa ante litteram?
E’ una caratteristica di un’intera generazione. Menotti stesso conosceva il francese, l’equivalente dell’inglese del nostro tempo. Era gente che viaggiava molto di più di quello che crediamo. Era la borghesia di allora e aveva interessi di orizzonti europei, sia economici che culturali. Anche Mazzini visse a lungo a Londra, e Garibaldi non a caso è definito come l’eroe dei due mondi. Insomma, c’è un cosmopolitismo diffuso nel nostro Risorgimento.

Dopo l’Unità d’Italia, Cialdini cosa fa?
Era un personaggio acomodo, non facile umanamente. Antagonista di Garibaldi, i suoi colonnelli lo fermano all’Aspromonte: i due arrivano quasi a sfidarsi a duello. Diventa senatore, senza identificarsi né con la destra, né con la sinistra. Viene incaricato due volte di formare un governo e fallisce in entrambe le occasioni. Nel 1866 viene messo un po’ da parte nella terza Guerra d’Indipendenza. E’ ambasciatore italiano a Parigi (1878-1880). Dagli anni ‘80 si ritira dalla vita pubblica e muore nel 1892, un po’ defilato. Non ha avuto figli. L’unico erede è suo nipote Francesco, l’ultima persona che lo vede vivo e che gli fa dare l’estrema unzione, sebbene Cialdini fosse molto laico, tanto che si pensa che l’abbia rifiutata.

di Francesco Rossetti

WP-Backgrounds Lite by InoPlugs Web Design and Juwelier Schönmann 1010 Wien