Il jazz narrato da Pavullo: la storia di Arrigo Polillo

Hai conosciuto John Coltrane? Sì? E che tipo era? Non so quante volte mi sono sentito rivolgere domande simili; solo il nome variava di volta in volta”. A scrivere queste righe è Arrigo Polillo (nella foto), l’autore di una storia del jazz che ha fatto epoca e che è stata ripubblicata anche quest’anno, una guida imprescindibile per l’appassionato italiano di questa speciale musica afroamericana, tutta fondata sull’improvvisazione.

Perché scriviamo di Polillo? Perché veniva nientemeno che da Pavullo, dov’era nato nel 1919. Polillo è un uomo che ha vissuto fra le quinte del jazz per almeno mezzo secolo, dirigendo “Musica Jazz”, il mensile sul quale dal 1945 in poi annotò mese per mese tutto ciò che di rilevante accadeva nell’universo jazzistico. “Per entrare nel mondo del jazz pagai cinque lire, tanto costava il biglietto d’ingresso a uno dei concerti organizzati, ogni mese, al Lyceum, in via dei Filodrammatici, a Milano”. Siamo nell’ottobre del 1936, in pieno fascismo. Cosa fosse il jazz? Allora erano pochissime le persone che avessero le idee chiare in materia. La chiamavano “musica moderna”. Scoppia la guerra, Polillo vive in mezza clandestinità a Milano, senza alcuna voglia di rispondere agli appelli dell’esercito fascista. Nel luglio del 1945 comincia a uscire in edicola “Musica Jazz”, fondata, diretta, impaginata e in gran parte scritta da Gian Carlo Testoni. Testoni aveva avuto successo scrivendo il testo di una hit del 1945: “Sola me ne vo per la città” (ripresa con successo da Mariangela Melato). Polillo chiede di incontrarlo e prende avvio un sodalizio durato anni.

Ovviamente una rivista simile era un pessimo affare editoriale, ma dentro c’era, come si suol dire, tanta passione. Da redattore specializzato Polillo ha la ventura di conescere davvero tutti i jazzisti. I primi musicisti di grido internazionale a comparire in Italia sono i francesi Stéphane Grappelli e Django Reinhardt. È il 1948. Django arriva alla vigilia di Natale per esibirsi all’Astoria accompagnato da alcuni amici milanesi, fra i quali un giovanissimo Franco Cerri (l’uomo in ammollo della celebre pubblicità del Bio Presto). L’anno dopo a Milano arriva anche Charlie Bird Parker, inebetito dall’alcol e dall’eroina, con un sorriso stolido sulle labbra, dondolante sulle gambe malferme. Polillo racconta che un giornalista italiano provò a intervistarlo in camerino e un Bird ubriaco non glielo permise, abbracciandolo con trasporto, ripetendo “My friend”. Con lui un Miles Davis intimidito, ma con occhi perforanti. È sempre Polillo a scovare e a promuovere un giovanissimo pianista romano: Armando Trovajoli, che presto avrebbe abbandonato il jazz per dedicarsi alle colonne sonore dei film (da “Riso amaro” a “C’eravamo tanto amati”, a “Una giornata particolare”). Nel 1949 l’incontro con Louis Armstrong, dalla vitalità prorompente, che gli rilascia un’intervista nei camerini del Teatro Odeon, in mutande e canottiera, con una bandana annodata attorno alla testa sudata. Armstrong non capisce i nuovi spericolati beboppisti: “continuando a suonare così alti e veloci, in pochi anni si rovineranno le labbra”. Nel 1950 arrivano le prime formazioni celebri: quelle di Benny Goodman e di Duke Ellington. Polillo rimane colpito dalla curiosità di Goodman: chiede informazioni sulla solidità della democrazia italiana, su Mussolini, la guerra, la ricostruzione.

Quanti incontri, da Ella a Miles Davis

Arrigo Polillo li ricorda tutti, quei mostri sacri: Ella Fitzgerald, gentilissima e precisa, puntuale agli appuntamenti, Bud Powell alcolizzato, un Miles Davis dalla proverbiale arroganza. Quando nel 1958 ascolta Billie Holiday, trova che il pubblico milanese non sia in grado di apprezzare il suo fraseggio sghembo, “volutamente farfugliato”. Thelonious Monk, che si esibisce al Litta, è un genio autistico; Polillo lo descrive come un grosso bambino cresciuto: “il suo desiderio di comunicare col prossimo è nullo“. Accompagna un Charles Mingus magro e scattante (sarebbe diventato obeso solo in seguito) in macchina fino a Bologna. E dopo aver respirato così tanto jazz americano, arriva il primo viaggio negli States, nel 1967, a quasi 50 anni. Nel 1969 ci ritorna per seguire il Festival del jazz di Newport, dove spopola il free jazz più spericolato. Polillo ascolta tutti, paziente, ma quando si presenta un giovane gruppo chiamato Led Zeppelin, preferisce defilarsi. L’emozione più grande è però conoscere il vecchio e cordiale Joe Venuti, l’italo americano autore del primo disco jazz della storia, pubblicato un secolo fa. Polillo ha sempre la pazienza del grande critico musicale. Registra tutto con il suo magnetofono e, pazientemente, sbobina, arricchendo il suo archivio. Muore a Milano nel 1984; Siena ospita tutt’ora un Centro Nazionale Studi sul Jazz intitolato a suo nome.

di Francesco Rossetti

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