La crisi democratica in Venezuela: ce ne parla Vanessa Ledezma

Viviamo in un’epoca globalizzata, tutto quello che succede nel pianeta ci riguarda. Anche oltreoceano. È il caso del Venezuela, un paese che sta attraversando una drammatica crisi, quanto a democrazia, diritti umani ed economia, in un clima di instabilità politica e sociale. Ne parliamo con Vanessa Ledezma (nella foto), figlia di Antonio, ex sindaco della capitale Caracas e uno dei leader dell’opposizione a Maduro, schieramento insignito pochi giorni fa del Premio Sacharov per la libertà di pensiero. Da un paio d’anni Vanessa abita a Carpi con il marito e le figlie. “Siamo arrivati in Italia sette anni fa per un’opportunità lavorativa. Cinque anni a Piacenza, poi ci siamo trasferiti qua.”

Alle elezioni regionali del 15 ottobre scorso, Maduro ha vinto un’altra volta. Ma l’opposizione parla di brogli…
L’esito di queste elezioni non sorprende nessuno, ce lo aspettavamo. In dittatura, alla fine, non importa quante persone votano, ma i voti. Loro vinceranno sempre, finché agiscono come una dittatura. È una situazione che va avanti dai tempi di Chavez. Il governo ha occupato tutte le istituzioni, non c’è più separazione dei poteri. Da allora non c’è stata una sola tornata elettorale senza frodi. Quando hanno eletto l’assemblea costituente, un’agenzia di controllo internazionale ha calcolato più di un milioni di voti fraudolenti, illegali, falsi. Comunque un flebile segnale di contrasto al regime è emerso: l’opposizione ha conquistato 5 governatorati, il regime ne ha 17. Prima ne aveva 20.

Qual è la posizione di suo padre, e dell’opposizione?
Non era d’accordo con queste elezioni, e con lui tanti altri: Maria Corina Machado, per esempio. Chiedevano elezioni nazionali, non regionali. Il problema è comunque la regolarità delle elezioni: Maduro riesce a prendere più voti del Chavez dei tempi migliori, il che è poco credibile. La verità è che l’80% dei venezuelani rifiutano questa dittatura. Stiamo affrontando una delle peggiori crisi economiche, caratterizzata da mancanza di cibo e medicinali.

Dov’è più dura la crisi: nelle città o nelle campagne?
Dappertutto, e in tutti gli strati sociali. Anche la classe medio-alta si trova in difficoltà. Mancano i beni di prima necessità. Il 50% degli ospedali non ha neanche l’acqua potabile. Una famiglia ha bisogno di quindici stipendi minimi per arrivare a fine mese, per pagare le spese, la scuola, etc. Al supermercato non trovi quasi niente. I poveri cercano nella spazzatura qualcosa da mangiare. I bambini muoiono di malnutrizione.

I venezuelani che vivono all’estero, cosa possono fare?
Siamo in tanti, emigrati per avere una qualità di vita normale. Denunciamo. Sempre più governi nel mondo non riconoscono il nuovo regime. Prima non succedeva, pensavano che Chavez fosse buono, che aiutasse il popolo e i più poveri. Alla fine hanno capito che era una bugia. Ci sono sanzioni contro questa dittatura. I paesi inviano aiuti tramite corridoi umanitari, ma Maduro li respinge, negando che esista, la crisi umanitaria.

Ci racconta la vicenda di suo padre?
Mio padre è uno dei leader più importanti dell’opposizione, per questo hanno cercato di toglierlo di mezzo. È stato arrestato il 19 febbraio del 2015, mentre stava lavorando nel suo ufficio, come sindaco di Caracas, ovvero la seconda autorità più votata, dopo il presidente. Sono arrivati con le facce coperte, le armi, 120 uomini della polizia politica; l’hanno portato via al carcere militare di Ramo Verde. Il governo lo ha incriminato a 26 anni di carcere con l’accusa di cospirazione e istigazione a delinquere. Maduro diceva che mio padre stava progettando un golpe. Falso. Tanto che trenta mesi dopo non c’è una sola prova a sostegno di questa ipotesi. Oggi si trova ai domiciliari, senza processo, in un limbo giuridico. A fine luglio ha diffuso un video messaggio in cui dichiarava che la costituente era illegale, invitando i venezuelani a continuare la protesta nelle strade (che ha portato ad almeno 130 morti) e l’opposizione a restare unita. Solo un paio di ore dopo, a mezzanotte, i militari si sono presentati a casa e l’hanno trascinato via – ancora in pigiama, scalzo, senza un mandato. Per tre giorni non si è saputo più nulla di lui. Poi, sempre a mezzanotte, l’hanno riportato nella sua casa.

Come mai lei ha scelto l’Italia come paese dove trasferirsi?
Mio nonno era italiano, della provincia di Avellino. Anche mio marito e i suoi familiari sono italo-venezuelani. Quando abbiamo deciso di andare via, era normale approdare qui. Fin da piccoli abbiamo coltivato la cultura italiana, per questo non abbiamo vissuto un cambiamento così drammatico.

Come vivete qui, in Emilia?
Di sicuro ci manca tantissimo la nostra terra, il cibo, la famiglia, gli amici, il clima meraviglioso del Venezuela. Ma l’Italia ci ha accolto sempre bene, ci sentiamo a casa.

Lei si è molto spesa in questi giorni, tramite incontri…
Sì, sono stata anche al Parlamento Europeo, ho incontrato il presidente Tajani, diverse autorità e rappresentanti politici. Tutti sostengono la nostra causa di libertà e i diritti umani, anche rispetto ai 436 prigionieri politici che ancora sono lì. Spero che l’Italia prenda una posizione più forte, come ha fatto la Spagna.

Avete il sogno di tornare un giorno?
Certo che sì. Non appena tornerà ad essere un paese libero, ritorneremo in Venezuela. Sono già da due anni e mezzo che manchiamo da lì, ora non è possibile andare. Ma non vediamo l’ora!

di Francesco Rossetti

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