L’arte di Franco Fontana: l’intervista al celebre fotografo modenese

È uno dei fotografi italiani contemporanei più celebri a livello internazionale, eppure Franco Fontana ha scelto sempre di vivere nella sua Modena, dov’è nato 84 anni fa.

Maestro, vorrei proporle una specie di dizionario. Se dico C come Colore, cosa mi dice?
Nulla di più rispetto a quello che testimonia il mio lavoro. I colori accesi di alcune foto dicevano del mio modo di vedere le cose. La realtà non è mai accettata per quello che è a livello creativo, e quindi va reinventata.

L come Luce: è più importante il colore o la luce?
Importanti tutti e due. Sono i contrasti che danno un carattere all’immagine. La sintesi dei contrasti è presente del resto nella vita di ognuno, in tantissime sfaccettature.

T come Tecnologia digitale?
Io lavoro con il digitale da anni, ormai. Per fortuna che c’è. Non sarebbe mica possibile oggi battere a macchina con una Olivetti 22!

Il digitale significa anche lavorare sulla foto dopo lo scatto?
No, il digitale di per sé non significa niente. Significa solo poter correggere se c’è un puntino nero. Ma non conta la tecnologia che uno usa, conta il pensiero che c’è dietro a un lavoro, perché lo fa. Certo, la mia storia è tutta analogica. Ma oggi sono per il digitale, insomma per l’avvenire, non per il passato.

Se dico P come Paesaggio?
Ci ho lavorato in un determinato modo, nel mio modo specifico così come prima non era stato rappresentato. Basta, per me è sufficiente così. Mi piace che le foto parlino da sole. Hanno utilizzato un mio paesaggio per la copertina di un testo di filosofia. Vuol dire che funzionava.

Ma i paesaggi continuano ad affascinarla?
Il mio lavoro sul paesaggio continua a vivere nella ricerca, nelle mostre, negli studi. Ma non faccio il verso al Franco Fontana di una volta. Ho cercato sempre di rinnovarmi, di non fare il replicante di quello che sapevo fare. La vita è rischio, è seminare nei campi incolti.

Vale come consiglio per gli aspiranti fotografi?
Vale per tutti, lo dico sempre nei corsi che tengo da 40 anni. Tutti pensano che la macchina fotografica risolva qualcosa, invece no, è il pensiero che comunica. Con una penna stilografica d’oro in mano non diventi comunque Dostoevski.

Adesso a cosa è interessato Fontana?
Mah, non è che mi alzo la mattina e programmo: adesso fotografo le serrature delle porte perché non l’ha mai fatto ancora nessuno. Devi ascoltare l’ispirazione, cercare di capirla, maturarla e darle significato. La creatività non viene così, come il sole o la luna. Arriva in certe condizioni e l’arte sta nel riuscire ad esser pronti a coglierla e a tradurla, ad esprimerla.

Se dico F come Fotogiornalismo?
È una pratica necessaria per i documenti, i reportage: un momento di verità che va registrato. Ma non è creatività, quella è un’altra cosa. Con lo stesso alfabeto si può fare la cronaca di Juventus-Milan o scrivere La Divina Commedia.

Ancora una P, come Pubblicità…
Ho firmato tantissime campagne pubblicitarie. È creatività anche quella. Non è marchetta, bisogna saperla fare.

M come Modena, per un viaggiatore come lei?
Ho viaggiato molto in passato, ora lo faccio più col pensiero. Vado via con l’elastico. Modena è stato il soggetto del mio primo libro, ci sono nato, le radici rimangono. Potevo andare a vivere in tutto il mondo, mi fecero un contratto con American Vogue – c’è gente che venderebbe la madre per averlo -, ma volevo fare la vita che volevo io, non quella che mi imponeva il lavoro. Felice è colui che vive libero.

N come Natale?
È tradizione, festa, amici, la gioia di quando si era bambini e si faceva il presepe. A volte sembra che il mondo sia cambiato in peggio, ma io mi faccio il segno della croce e ringrazio il cielo.

di Francesco Rossetti

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