L’intervista a Wainer Vaccari: iniziò tutto con l’immagine simbolo della Panini

L’immagine simbolo delle figurine Panini, la leggendaria rovesciata di Carlo Parola che per decenni ha campeggiato sulle copertine degli album dei calciatori, è sua, l’ha disegnata nel 1970. Dicono che sia, in assoluto, l’immagine più riprodotta dopo quella di Mao. Artista modenese apprezzato in tutto il mondo, Wainer Vaccari di strada ne ha fatta tanta e non ha mai smesso di amare la sua città.

Quello tra arte e sport, è un legame che non si è mai dissolto? Cosa c’è nello sport che smuove la sua creatività?
Quando ho realizzato quella rovesciata, lavoravo come grafico alla Panini, ed ero del tutto inconsapevole di cosa quell’immagine sarebbe poi diventata. Arte e sport sono due realtà ben distinte. Qualche volta si sono però incontrate ad altissimi livelli, come nell’antica Grecia, con lo scultore Prassitele e il suo Pugile in riposo, o nel Novecento, quando la grande regista Leni Riefenstahl realizzò il suo film Olimpia. Per non parlare di Mohamed Alì e Maradona, veri e propri “artisti dello sport” che con le loro performance hanno incantato il mondo intero. Per quello che mi riguarda, sono gli atleti con la loro fisicità ad ispirarmi.

Gli inizi nel ’70 come dipendente della Panini, la mostra dell’83 con il gallerista Mazzoli, le collettive con Bonito Oliva e poi si aprono le porte del mondo, esposizioni ovunque e nei posti più prestigiosi. Ha scelto di vivere di arte. Quanto è importante incontrare qualcuno che riconosca il proprio talento?
Quegli incontri hanno cambiato radicalmente e al momento giusto la mia vita. Sono stati incontri figli del caso o della fortuna. Fu Mazzoli che, nel lontano 1981, vedendo un mio piccolo quadro in casa di un amico, ne rimase colpito, e benché, come penso, non amasse particolarmente il soggetto, intuì in quell’opera qualcosa di nascosto, un talento sommerso, e quindi mi contattò. Così vanno le cose…

Quali sono state le tappe più importanti nella sua crescita artistica?
La seconda mostra da Mazzoli del 1983, che creò un immediato e sorprendente interesse da parte di mercanti e direttori di musei europei. Questo interesse portò a importanti esposizioni in gallerie private e istituzioni museali in città come Zurigo, Monaco di Baviera, Berlino, Rotterdam, Amburgo, Ostenda, Horsens in Danimarca, ecc., che poi acquisirono diversi miei lavori.
Tornando a Panini, sta realizzando una scultura in bronzo che verrà collocata in Corso Duomo al posto della storica edicola della famiglia. Cosa rappresenta per lei questo impegno?
È un omaggio dovuto a questa famiglia speciale e, lasciatemi dire, generosa. Vorrei che quest’opera, iconica ed emblematica, arricchisse ed abbellisse ulteriormente la nostra città, agli occhi non solo dei suoi abitanti, ma anche dei “viandanti” che la attraversano.

Il digitale, i programmi di grafica… com’è cambiato il modo di creare arte? Ha inciso anche sulla sua produzione?
La tecnologia mi ha sempre interessato, perché spesso con le sue eccezionali invenzioni mette a disposizione dell’arte e degli artisti nuovi mezzi espressivi. Mi risulta che di recente David Hockney abbia dipinto su un tablet alcuni suoi quadri, peraltro con ottimi risultati. Mi viene in mente poi l’artista danese Olafur Eliasson, che si serve di tecnologie sofisticate per realizzare le sue opere. Quindi mai dire mai!

Ci sono artisti contemporanei che apprezza in modo particolare?
Chi mi conosce sa che ho un rapporto privilegiato con artisti di un passato anche remoto. Tra i contemporanei, amo quegli artisti che creano opere non necessariamente legate al “contesto dell’ultima ora”.

Vorrei salutarla con una nota biografica molto tenera… Sua madre ha scelto di chiamarla Wainer, ce lo vuole raccontare?
Diciamo che aveva un rapporto col clero un po’ particolare.

di Patrizia Palladino

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