Un racconto aperto: l’intervista all’artista scultore Andrea Capucci

Modenese doc, Andrea Capucci (nella foto) ha al suo attivo una lunga serie di mostre personali e collettive in Italia e in Europa. La sua ricerca artistica si sviluppa in particolare nell’ambito del disegno su carta, nella elaborazione ceramica e nella scultura (intesa a tutto tondo) in terracotta maiolicata o in metallo. È da sempre molto legato all’espressione poetica; immagini scelte delle sue opere si trovano in diversi volumi di autori italiani.

Andrea, a quale età ha cominciato a sentire una propensione per l’arte? L’ambiente familiare ha influito? Disegnava molto da bambino?
Ho sempre amato disegnare, fin da bambino lo vivevo come un bel passatempo silenzioso e creativo. Potevo immaginare e mettere sulla carta tutto quello che mi veniva in mente.

Ha frequentato il Venturi, una scuola ‘mitica’ per Modena: che ricordo hai di quegli anni di formazione?
A 13 anni venne il momento di scegliere la scuola superiore da frequentare: non ho avuto dubbi a iscrivermi al Venturi. Mi ricordo che andai con i miei genitori a visitarla, mi piacque molto la sua architettura, piena di sculture alle pareti, gessi, ceramiche, bozzetti di ogni tipo. Veniva considerata una scuola per i perdigiorno. Io però ne ero attratto.

Poi?
A 21 anni, iscritto alla Facoltà di Architettura a Firenze, decido di andare a trovare i più grandi scultori italiani. Erano già tutti molto affermati: Minguzzi, Consagra, Pistoletto, Ghermandi, Somaini. Vedendo i loro studi, stando molto tempo con loro ad ascoltarli, ho iniziato a immaginare la mia vita, a disegnare e a realizzare le prime sculture. Da lì è iniziato tutto e ho dedicato ogni giorno della mia vita a questa passione.

Chi è uno scultore oggi, nell’epoca del virtuale? Ha dei modelli, degli artisti di riferimento che riconosce come decisivi per la loro influenza nel suo lavoro?
Ho amato molti artisti, sia quelli anonimi che dipingevano le grotte rupestri di Lascaux fino ad arrivare ai giorni nostri, periodi come il Rinascimento, scultori come Donatello, Michelangelo, Bernini, anche se l’identificazione più forte l’ho avuta studiando il Novecento europeo, i Fauves per esempio, Derain, poi Klee, Giacometti, Camille Claudel. Ho nel cuore un artista italiano, un uomo che amava sia la scultura che la poesia: Fausto Melotti, un gigante assoluto. Se invece penso ai nostri contemporanei, mi appaiono Paladino, Kiefer e Kapoor. Ecco, mi piacciono gli artisti profondi, che esprimono uno spessore poetico. Sono attratto dalle opere che hanno un mistero, che sembrano arrivare dal buio della notte, quella notte piena di stelle che ci meraviglia sempre.

Come definirebbe la sua poetica? Quali temi o soggetti o condizioni la attraggono?
Credo che il mio lavoro abbia diversi piani di lettura: da un lato cerco le storie e la narrazione, ma nello stesso tempo inseguo un suono, la poesia. Mi piace pensare che sia un racconto aperto, costruisco dei teatrini dove faccio vivere i miei personaggi. Posso farli abitare in una città immaginaria, o farli vivere nella natura, posso farli baciare, oppure al contrario posso farli morire mettendoli sotto terra o dentro l’acqua. Cerco di essere in contatto con i miei desideri, è il mio istinto che mi guida. Mi piace suscitare in me e in chi guarda le mie opere una sorta di stupore, di meraviglia; sogno un mondo più aggraziato, più intenso e sensibile.

Andrea Capucci, il suo studio si trova in zona Tempio, un quartiere multietnico. In più lei lavora da anni come animatore delle attività educative e culturali del Centro Stranieri. Come entra nel suo lavoro questa sensibilità per le culture altre?
Sì, è un quartiere molto interessante. A fianco del mio studio si trovano una moschea turca e una chiesa gospel, ma ci sono anche diversi studi di amici artisti. In questi anni lo studio è stato anche un luogo di ritrovo dove ho realizzato iniziative artistiche. Nei miei intenti c’è il desiderio di aprirlo sempre più spesso, presentando proposte culturali di qualità. Ho sempre pensato che, consapevoli di chi siamo, possiamo fare posto anche ad altri.

Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Intanto si è chiusa da poco a Castelfranco Emilia una mostra curata da Paolo Donini, tutta dedicata ai miei disegni in dialogo con la poesia. Nel corso di quest’anno si realizzerà un progetto a cui tengo molto. Si tratta di un’opera pubblica dal forte carattere sociale, realizzata in pietra e con la preziosa collaborazione degli scalpellini di Fanano. L’idea è che le scultura diventi uno strumento per favorire il dialogo. Ho immaginato un luogo dove le persone possano parlarsi e ascoltarsi e capire per esempio che un siriano non è solo un disperato che scappa da una guerra, ma è un uomo proveniente da un paese che è stato la culla culturale e artistica dell’umanità.

di Francesco Rossetti

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