Una chitarra per Dylan: l’intervista al chitarrista Luigi Catuogno

È nato a Capri, Luigi Catuogno (nella foto), mezzo campano e mezzo tedesco, è un chitarrista di estrazione classica e ha sempre esercitato una curiosità a 360 gradi per le culture musicali nel globo. Giovedì 24 maggio, alle 21, ad Artigiani della Vita presenta il suo ultimo disco dedicato al repertorio del mito Bob Dylan: “The neverendings strings”. “È un progetto partito molti anni fa, addirittura nel 1999”, spiega. “È stato un momento della vita in cui ho deciso di fare qualcosa di mio, un’operazione molto personale. Sai, Dylan è famoso per i testi più che per la musica, e io sono un chitarrista. La verità è che sono appassionato di Dylan da quando avevo 13 anni, l’ho visto dal vivo non so più quante volte, non so darti una spiegazione razionale di questa passione. Qualsiasi sia la risposta, non è esaustiva di questo sentimento, se vogliamo chiamarlo così. Le mie passioni musicali spaziano dal Sudamerica al flamenco, alla musica napoletana, ma Bob Dylan è sempre stato come un fratello maggiore che mi raccontava le sue storie di perdenti. Del resto, ammettiamolo, abbiamo sempre fatto il tifo per i troiani e non per gli achei, per gli indiani piuttosto che per i cowboys.”

Il tuo è un Dylan per sola chitarra?
Sì, senza sovraincisioni. Inizialmente volevo lavorare solo sulla melodia, cercando di essere abbastanza fedele all’originale. Poi, negli anni, ho cercato di interpretare anche il testo, gli arrangiamenti sono cambiati. Il disco uscito quest’anno rappresenta un’ulteriore crescita. Utilizzo gli stili della chitarra popolare che ho studiato e fatto miei, dipingendo le melodie di Dylan con suggestioni dal mondo. Alla fine, è quasi un disco di world music.

Le “corde infinite” del titolo dell’album, a cosa si riferiscono?
Sono le corde infinite che ho immmaginato, le tante influenze, dal valzer messicano alla tarantella, alla chacarera.

In tutto sono quattordici tracce: che tipo di selezione hai compiuto?
Il disco è un estratto dello spettacolo. Ho arrangiato in tutto una quarantina di brani in tutti questi anni. L’approccio è stato puramente estetico, senza fare distinzione tra periodi, tra brani elettrici e acustici. Io Bob Dylan lo amo completamente, anche nelle sue cose meno note.

L’hai visto a Verona di recente?
Sì, e mi è molto piaciuto. La prima volta l’ho visto nel 1978, volevo festeggiare 40 anni di Dylan. Avevo perfino aspettative basse, invece è stato un bel concerto.

E’ un Dylan che non regala molto al pubblico, non parla mai…
Lui ha questo modo di concedersi. Non dice una parola, suona e canta e basta. Lo sapevo già, non mi aspettavo nemmeno il proverbiale “Good night, Verona!”.

Come sarà il tuo concerto modenese?
Come il concerto che ho portato in Europa nei mesi scorsi, parlando tedesco e inglese. Racconto storie, aneddoti miei, della chitarra e su Dylan, con un percorso leggero intimo da condividere con gli altri.

Quando è cominciata la tua avventura con la chitarra?
Me ne sono innamorato che ero all’asilo in Germania. Vidi una maestra con i capelli neri che suonava la chitarra e io ne rimasi affascinato. Poi ho cominciato a suonare usando la racchetta da tennis di mio papà. Sui 12-13 anni vinsi una chitarra con i tappi della Coca Cola, una Melody.

Il primo amore musicale?
Gli Inti Illimani. Poi mi sono diplomato, ho studiato con maestro argentino che viveva a Napoli. Suono minimo tre-quattro ore al giorno. Ho svariati repertori da tenere in allenamento. Accompagno alcuni amici cantanti; accompagnare una voce e una poetica è come scrivere e inventarsi una sceneggiatura.

Parlami del tuo rapporto con Modena?
E’ un legame nato prima che mi trasferissi qui. Ci venivo spesso perché avevo amici. All’epoca, Modena e Bologna erano posti pieni di fermento culturale, politico e umano. Sono legatissimo alla cucina e alla filosofia emiliana. Anche se la trovo un po’ sbiadita rispetto al passato. Sono venuti meno i luoghi d’incontro e di musica dal vivo, ma è un problema nazionale, non solo modenese.

All’estero è più semplice?
Posso raccontarti di una volta in Germania, dove la Siae costa un decimo che in italia. Ero arrivato un paio di giorni prima del concerto serale, mi chiama la direttrice del teatro, mi mette in contatto con la dirigente della scuola elementare e, nel giro di pochi minuti, mi organizzano una lezione-concerto con i bambini. In Italia organizzare così al volo sarebbe impensabile.

Collabori con diversi musicisti. Quali?
Con Lele Chiodi, grandissimo ricercatore e cantante di musica popolare dell’appennino tosco-emiliano. Con Luciano Gaetani, ex Modena City Ramblers, e Chris Dennys, abbiamo un trio di musica klezmer: Mutina Golem. E con Gappa, nome d’arte di Gaspare Palmieri: è un vero onore suonare con lui.

Dove si può acquistare il tuo disco?
Da Dischinpiazza, sui canali tipo Amazon, online sul mio sito www.luigicatuogno.com e direttamente ai concerti. Sta andando molto bene, sono alla seconda ristampa.

di Francesco Rossetti

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