Bullismo, catena da spezzare: ne parla la psicologa Rossella Benedicenti

Sempre più diffuso tra gli adolescenti, ma non solo, di bullismo si occupano molti referenti, dalle istituzioni scolastiche a quelle sanitarie, dalla polizia postale per il cyber bullismo fino ad arrivare all’autorità giudiziaria. E’ un fenomeno che genera molta sofferenza, ma che ancora fatica a emergere ed è sottostimato nelle sue dimensioni. Con la psicologa Rossella Benedicenti, proviamo a capire meglio di cosa si tratta.

Cos’è il bullismo da un punto di vista psicologico?
E’ un insieme di azioni di sistematica prevaricazione, di soprusi agiti attraverso l’uso di aggressività fisica, verbale e psicologica, messo in atto da parte di un adolescente che agisce comportamenti da bullo. Esistono diversi ruoli che vengono agiti ai danni di uno specifico bambino o adolescente, la vittima della situazione. Il bullismo non deve essere confuso con episodi sporadici di violenza o aggressione. Gli atti di bullismo si presentano nel lungo periodo, hanno una forma intenzionale e sono caratterizzati da asimmetria relazionale, come un’età differente, una diversa forza fisica o un diverso grado di popolarità. Il bullismo ferisce l’altro, lo vuole schiacciare, non è un semplice conflitto. Il fenomeno coinvolge chi si comporta da bullo e la vittima, ma anche i gregari che sostengono e gli osservatori che assistono.

Le vittime, mentre sopportano angherie e soprusi, che pensieri profondi fanno?
Il bullismo ha conseguenze che possono diventare molto importanti, come sintomi fisici quali mal di testa o mal di pancia e psicologici come attacchi di ansia. La vittima è riluttante a tornare nel contesto dove ha subito bullismo, non vuole più andare a scuola o inventa scuse per non frequentare più il calcio. Nel lungo periodo subentrano un progressivo calo dell’autostima e insicurezze nelle relazioni fino alla manifestazione di attacchi d’ansia e stati depressivi.

Segnali esteriori, evidenti, che possono allertare un genitore?
Importanti variazioni o comportamenti insoliti possono essere campanelli d’allarme da non sottovalutare. Vedere tornare a casa un figlio con i vestiti stracciati o con libri e quaderni rovinati, può significare che hanno subito aggressioni fisiche. Lividi, ferite o graffi per cui non riescono a dare spiegazioni credibili o quando evitano i compagni di classe, sono segnali cui prestare attenzione.

Casi specifici richiedono interventi individuali e mirati, ma cosa fare a livello più ampio, collettivo?
Occorre un’azione a 360° sui protagonisti ma anche sul contesto dove il bullismo si manifesta. Progetti preventivi nelle scuole sono sicuramente un primo passo per aiutare i ragazzi a riconoscere il fenomeno e dare chiavi di lettura a genitori e insegnanti, che possano predisporre situazioni di ascolto per far emergere il problema. Gli interventi, però, devono essere continuativi, altrimenti il problema resta. Occorre, ogni anno, offrire spazi di confronto sul tema per far sapere ai ragazzi che esistono figure pronte ad accoglierli. I genitori devono cercare di costruire un clima comunicativo dove si possa parlar di tutto, anche di ciò che fa paura, incentivare l’ascolto e valorizzare il rispetto per sé e gli altri. Devono aiutare i figli a sviluppare empatia e disponibilità alla collaborazione, perché crescano competenti da un punto di vista sociale, senza bisogno di strategie come il bullismo per emergere.

Cosa spinge un ragazzo o una ragazza verso il bullismo?
Chi agisce comportamenti da bullo spesso è vittima di agiti aggressivi in altri contesti, si chiama ‘catena della violenza’. Altri, invece, nella ricerca adolescenziale dell’identità, trovano quell’unica strada per emergere. Non sentendosi efficace e brillante, pur di esistere, sviluppa un’identità negativa. E’ importante parlare di ‘chi agisce comportamenti da bullo’ e non di ‘bullo’, perché solo così riusciamo a vedere la persona che può essere anch’essa bisognosa di aiuto per trovare strategie più adattive per risolvere conflitti o difficoltà legate a una scarsa autostima.

Che consigli vuole dare alle vittime di bullismo?
Una delle prime cose è riconoscerlo e non vergognarsi, perché non è assolutamente colpa loro. Chiedere aiuto non significa essere deboli, ma è il primo passo per risolvere la situazione. Consiglio di sforzarsi, di parlare con gli adulti e chiedere sostegno. L’isolamento, altra grande conseguenza del bullismo, non è una soluzione. Chi ha subito aggressioni non è da solo, deve capire che ha una rete intorno, tante persone, la famiglia, le istituzioni, che possono aiutare a uscirne. La catena della violenza si può interrompere e si possono costruire contesti più sereni e stabili per i ragazzi.

di Patrizia Palladino

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