Ciacarare Modenese. L’epopea felice e spensierata della pagnotina

Pagnotìna: panino imbottito. Per qualche oscuro motivo, il termine gergale pagnotìna oggi risulta un po’ desueto, tristemente inutilizzato dato che gli si preferisce il più nazionale ‘panino’. Tra l’altro il panino è diventato oggetto esclusivo da gourmet, con tanto di esegeti che ne discutono l’essenza metafisica, per dirla con Aristotele. Ma negli anni lieti dell’Italia andreottiano-fanfaniana che videro protagonista la splendida giovinezza di chi scrive, la pagnotìna segnava un momento topico nella giornata-tipo del cinnazzo vintage.

A metà pomeriggio di interminabili giornate estive, nel pieno orgasmo delle vacanze, dopo varie ore di disfide pallonare sul rovente asfalto di via Lippi 62 tra due cancelli chiusi che fungevano da porte, ecco che, all’appropinquarsi delle ore 17, si udiva una finestra aprirsi, dalla quale la voce della madre tuonava quanto quella di un Del Monaco in un Trovatore: ‘Steefanooo….ti ho preparato la pagnotìnaaa…!’ Era l’ora della meritata merenda: spolto, melnetto, odoroso di ascella delicatamente al curaçao, attraversato dalle mitiche righe nere nel collo, prendevo all’istante a salire le scale a tre a tre per raggiungere il secondo piano senza ascensore e afferrare quella delizia. In altri casi in cui la genitrice si sentiva atletica, la pagnotina poteva essere lanciata dal secondo piano chiusa in un sacchetto unto e afferrata al volo con perizia da pitcher dei New York Mets.

La pagnotìna di solito era al salume, prosiùtto o mortazza su tutti, ma per variare poteva presentarsi anche alla marmellata o, delizia somma, alla Nutella (delusione totale in caso di Ciao Crem), che però in estate ‘scaldava’ un po’ e rischiavi i rospetti immediati sulla lingua e una sete boia. A volte, in periodi di pilla, alla mamma poteva tirare l’ano e non avere voglia di prepararla, allora ti mandava dal droghiere che te la confezionava ‘espresso’, spesso in certi panini spugnosi al latte di ardua deglutizione. Innaffiato con una deliziosa spuma al cedro al bar del Don, era la morte sua.

di Stefano Piccagliani

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