Ciacarare modenese. Quando un qualo è estremamente usurato, ovvero frusto

Frusto: consumato, estremamente sciupato. Spesso il termine ‘frusto’ si trova in combutta semantica con ‘liso’, inutile ricordare la classica locuzione ‘tra il liso e il frusto’, nel senso di qualcosa di estremamente consunto. Frustare infatti ha il senso di adoperare qualcosa fino allo sfinimento, ad esempio ‘quando è venuto fuori il disco della Febbre del Sabato Sera con quelle tre nase fuste dei Bee Gees l’ho frustato!’, ovvero ho fruito del microsolco arrivando a provocarne l’inascoltabiiltà a causa dei troppi abusi.

In antichità, il termine frusto stava ad indicare non tanto la derivazione dalla frustata o cinghiata, quanto un pezzetto rimasto, un frammento superstite a seguito di un’usura. Nella seconda metà degli anni ’70 ci fu, ad esempio, il boom dei jeans ‘frusti’, ovvero pantaloni di tela jeans di appetitose marche americane in vendita in un mitologico esercizio sito in San Damaso che, dopo averli acquistati in perfette condizioni, andavano obbligatoriamente ‘frustati’ per poter così apparire lisi, scoloriti e quindi ‘vissuti’. C’era quindi gente che comprava i jeans poi passava direttamente a torture a base di dozzine di lavaggi per violarli, seviziarli, martirizzarli a furia di maltrattamenti vari su pietre o massi, addirittura arrivando all’utilizzo di candeggi hard con varechina o simil sostanze brutalizzanti. Il tutto per ‘frustare’ gli altrimenti intonsi jeans.

Grazie alla tecnologia, adesso ciò è possibile acquistando jeans nuovi già distrutti e stracciati, naturalmente pagandoli un rene. Il termine ‘frusto’ è applicable anche, fisicamente, agli esseri umani, seppure in rare occasioni in cui si vuole esagerare iperbolicamente, come nell’esempio ‘’Na volta a sùn andè a lèt con la muièra ed cal bambòz ed Gibertèin. Me at dègh che lèle la ghìva ‘na bèla voja..a sun turnè a cà ca’iera tòt sbrindellè, a ghìva l’usèl c’al parìva un stràz…l’am la frustè!’. Facile quindi immaginare brandelli di pistola sparsi tra le lenzuola o addirittura attaccati ai muri.

 

di Stefano Piccagliani

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