Ciacarare Modenese: scopriamo insieme che cos’è il tacòne

Taccone: pronunciato tacòne, in dialetto tacòun. Aggettivo: tacolento. Macchia appiccicaticcia o vischioso grumo di non ben definita materia di rivoltante rilevanza. Termine abusato da molte castranti mamme rezdòre ossessivo-compulsive in presenza di impercettibile macchia infinitesimale sul pavimento allo scopo di suppliziare ad aeternum la già minata psiche dei figli: ’Mé a lév, a stìr, a fagh da magnér tot al dé… e uéter invece??!? Guérda ché ech tacòun in zèma al paviméint..! Ahhh ma un giòren mè a vagh via ed cà, axé po’ uèter a zighée…’.

Il tacòne va domato con olio di gomito o, in certi casi-limite, col napalm. In alcuni frangenti, il tacòne si rivela una collosa chiazza che testimonia un espletamento erotico-seminale, principalmente in età adolescenziale, quando cioè la vigoria in questo caso maschile vive il suo apogeo e l’igiene personale è spesso un’ irraggiungibile chimera. Facile quindi imbattersi in tacòni su abiti, sedili di automobili o autobus o corriere, poltrone di cinema, spogliatoi di jeanserie, garage, solai, banchi di scuola, tappeti, televisori, bagni della stazione, panchine del parco, negozi di videonoleggio, cabine o lettini di stabilimenti balneari, tastiere o monitor di computer, zaini di scuola, diari, telefonini, inginocchiatoi di confessionali in chiesa.

Molte cronache d’epoca ci narrano di storici tacòni dei tempi antichi, segnalati soprattutto su sordide pubblicazioni vietate ai 18, ormai estinte, mostranti irsuti uomini tedeschi dal calzino beige che infilzavano, su mesti divanetti seventies, sventurate ‘modelle’ teutoniche di notevole villosità intima impreziosite da lingerie di cartone e zatteroni dalle vertiginose zeppe. Pagine, che non venivano sfogliate dagli entusiasti autosmanettatori-panda ma piuttosto divelte, causa il mastice organico presente. Più il servizio fotografico era riuscito, più saliva il coefficiente di tacòne, una preziosa indicazione di coefficienza erotica del foto-servizio per chi s’apprestava a lasciare traccia del suo passaggio.

di Stefano Piccagliani

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