Cinema: la recensione di “Blade Runner 2049”

L’agente K è un blade runner della polizia di Los Angeles, nell’anno 2049. Sono passati tren’anni da quando Deckart faceva il suo lavoro. I replicanti della Tyrell sono stati messi fuori legge, ma poi è arrivato Niander Wallace e ha convinto il mondo con nuovi “lavori in pelle”: perfetti, senza limiti di longevità e soprattutto obbedienti. K è sulle tracce di un vecchio Nexus quando scopre qualcosa che potrebbe cambiare tutte le conoscenze finora acquisite sui replicanti, e dunque cambiare il mondo. Per esserne certo, però, dovrà andare fino in fondo. Come in ogni noir che si rispetti dovrà, ad un certo punto, consegnare pistola e distintivo e fare i conti da solo con il proprio passato (Mymovies). Un capolavoro, un film con continui e costanti rimandi all’originale di Ridley Scott ma reinterpretato da un regista del calibro del canadese Denis Villenueve (“La donna che canta”, “Prisoners”, “Sicario”, “Arrival” tra gli altri suoi titoli) che lo fa suo pur rispettando l’immaginario creatosi negli anni. Una pellicola che letteralmente ti porta via per oltre due ore e mezza, immergendo ipnoticamente lo spettatore in un mondo futuro me nemmeno così lontano dalla realtà. Da non perdere.

di Gianluigi Lanza

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