Cinema: la recensione di “No Time to Die”, l’ultimo Bond con Daniel Craig

‘No Time to Die’ di C. Fukunaga

Tra le pellicole uscite durante la pandemia, nessuno ha avuto una distribuzione tribolata come “No Time To Die”. Infatti, il venticinquesimo film della saga di James Bond doveva essere distribuito, come da programma, nell’aprile del 2020. A causa dei fatti noti a tutti, era stato posticipato a novembre 2020. Il perdurare dell’emergenza Covid ha fatto sì che la casa di produzione, non volendo a tutti i costi distribuirlo sulle piattaforme streaming, abbia deciso di fissare la data definitiva per lo scorso 30 settembre 2021. Questi continui e obbligati rimandi, hanno creato una grande trepidazione e curiosità attorno all’opera di Cary Fukunaga (il regista di “True Detective), anche per via del fatto che si tratta dell’ultima apparizione di Daniel Craig nei panni dell’agente segreto più famoso al mondo. E’ stato un lungo viaggio per l’attore britannico, cominciato nel lontano 2006 con “Casino Royale”, proseguito con il deludente “Quantum Of Solace”, fino ad arrivare a “Skyfall” (a detta di molti uno dei migliori film su 007) e a “Spectre”.

L’innovazione portata dai film con Craig è stata quella di essere riusciti a creare un universo cinematografico ben definito, alla cui base troviamo una macrotrama che viene esplorata a poco a poco. Infatti, mai prima di allora i film di James Bond erano così collegati tra di loro tanto da poter essere visti come un tutt’uno. Perciò, con tutte queste premesse, ci si poteva aspettare un commiato di un certo livello, che così non è stato. Senza scendere troppo nei particolari (rimanendo fedeli all’hashtag #notimeforspoilers) è importante sapere che Bond, dopo le vicende di “Spectre”, sarà costretto a tornare in servizio per fermare Lyutsifer Safin (Rami Malek), un terrorista con a disposizione un’arma di distruzione di massa, per salvare il mondo e le persone che ama.

Se da una parte la regia di Fukunaga ci ha regalato qualche guizzo interessante, soprattutto nella parte iniziale, è il resto del film che convince poco, a partire dalla gestione del villain principale. In ogni Bond movie che si rispetti, la nemesi dev’essere affascinante tanto quanto il protagonista, e in questo caso il seppur bravo Malek non riesce a regalarci un cattivo interessante. Questo a causa di una sceneggiatura un po’ piatta, che si riscatta solo con il finale emozionante e per certi versi coraggioso.

 

di Mattia Amaduzzi

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