Davide Turci: “Il Coronavirus cambierà per sempre la nostra vita”

La seconda parte dell’intervista a Davide Turci (qui potete trovare la prima parte), musicista solierese, ma di mestiere infermiere al 118.

Davide, dal tuo punto di vista di professionista della sanità, quanto è logorante questo periodo per tutti noi, sospesi tra paura di contagio e reclusione forzata in casa?
“Io e i miei colleghi del 118 il meccanismo della reclusione non lo riusciamo ad apprezzare a pieno. Avresti anche voglia di stare in casa, ma non lo puoi fare perché hai scelto di fare un mestiere che in questo periodo è fondamentale. Siamo però tutti spaventati, questa è la verità”.

Perché?
“Perché abbiamo paura di portare il virus a casa. Mi sono organizzato per far sì che questo non avvenga, per cui i miei figli vivono dai nonni. In questo momento forse questa è la mancanza più grande che avverto. Ma mi sento fortunato perché posso usufruire dell’aiuto dei miei genitori. Pensa alla tensione che possono avere i lavoratori della sanità tornando a casa dai propri cari, condividendo gli spazi domestici. Noi ci adeguiamo scrupolosamente ai protocolli, utilizziamo i DPI (dispositivi di protezione individuale), mettiamo grande cura nel momento della svestizione, ma il rischio c’è sempre”.

Vi capita di andare a prendere persone in difficoltà respiratorie?
“Purtroppo spesso. Il nostro ‘problema’ è che siamo a contatto solo con gli effetti più brutali del virus, e questo ci porta a idealizzare la patologia. I cosiddetti asintomatici o poco sintomatici non li vediamo, perché rimangono nelle loro case”.

I tuoi figli che età hanno? Come reagiscono a questo periodo?
“Hanno 9 e 11 anni. Stanno bene, per ora, perché hanno un ottimo rapporto con i nonni, e spazi anche più idonei del mio appartamento. Li vedo e li sento sereni. Hanno la fortuna di essere in due: la compagnia se la fanno reciprocamente”.

Come ci cambierà questo virus?
“Forse, dal punto di vista emotivo, aumenterà il valore che si darà a certe situazioni semplici: trovarsi su una panchina a scambiare qualche chiacchiera. Di sicuro gli strumenti tecnologici non sono sufficienti per essere sostitutivi dei rapporti più semplici e profondi”.

 

di Francesco Rossetti

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