Grandi dischi da riscoprire: i 50 anni del debutto solista di Stephen Stills

Rispetto al primo album solista di David Crosby, il meraviglioso “If I Could Only Remember My Name”, e al contemporaneo disco di Neil Young, l’intenso e intimista “After The Gold Rush”, l’esordio a suo nome di Stephen Stills è rimasto meno nella memoria collettiva degli appassionati, pur avendo all’epoca avuto un notevole successo. Più o meno come il debutto solista di Graham Nash, “Songs For Beginners”, che conteneva comunque un paio di canzoni divenute celebri (la pianistica “Chicago” e la delicata “Simple Man”). E dire che “Stephen Stills”, che proprio in questi giorni ha compiuto 50 anni essendo stato pubblicato il 16 novembre del 1970, a pochi mesi da “Deja Vu” di CSNY, è un album straordinario, il migliore tra quelli del chitarrista texano assieme al primo dei due con i “Manassas”, inciso un paio di anni più tardi. Un disco che mostra lo stato di grazia, dal punto di vista compositivo, di Stephen Stills, oltre alla cura maniacale degli arrangiamenti che lo ha sempre contraddistinto e, naturalmente, alle sue grandi capacità di chitarrista, sia con l’elettrica che con l’acustica.

Registrato in parte a Londra dove Stills si era trasferito per un certo periodo, “Stephen Stills” rappresenta le due anime del musicista, quella più cantautorale e westcoastiana e quella del rocker influenzato dal blues e dalla musica nera. Diversi gli ospiti di prestigio presenti nelle 10 canzoni. Oltre agli immancabili Crosby e Nash, non possiamo non ricordare Jimi Hendrix (scomparso tra l’altro due mesi prima della pubblicazione del disco) e Eric Clapton, ma anche il tastierista Booker T Jones.

La prima facciata dell’LP originale è straordinaria: dai ritmi latini della celebre “Love The One You’re With”, alla raffinata ballads “Do For The Others”, fino alle canzoni con Hendrix e Clapton, rispettivamente la potente “Old Times, Good Times” e il rock-blues alla John Mayall “Go Back Home”. Leggermente più rilassata, ma sempre di alto livello la seconda facciata, dove spiccano il blues acustico “Black Queen”, con una grande prova chitarristica di “The Captain Manyhands” (così era soprannominato Stills all’epoca), l’intensa “Cherokee” un rhythm & blues ricercato, con flauto e sax in evidenza, e la conclusiva e sorprendente “We Are Not Helpless”, tra west coast e ritmi latini. Un capolavoro da riascoltare.

di Giovanni Botti

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