Il disco della settimana: Willie Nelson, “First Rose of Spring”

Willie Nelson – “First Rose of Spring”

A 87 anni compiuti lo scorso aprile, Willie Nelson continua a pubblicare dischi con una regolarità impressionante e, cosa ancora più sorprendente, non sbaglia un colpo. Da quando nel 2012 ha iniziato a collaborare continuativamente con il produttore Buddy Cannon, il texano ha messo sul mercato la bellezza di 14 album, mantenendo una media di quasi due all’anno e mostrandosi all’altezza anche quando si è cimentato col repertorio di George Gershwin (il bellissimo “Summertime” del 2016) e di Frank Sinatra (l’elegante “My Way” del 2018). Il nuovo lavoro, programmato inizialmente per la scorsa primavera poi posticipato causa l’emergenza Covid-19, ce lo riporta sul terreno a lui più congeniale, quello del Texas sound, della ballata country, del western swing e il risultato è, ancora una volta, eccellente.

Dotato di una voce che sembra non invecchiare e che paradossalmente diventa, disco dopo disco, sempre più espressiva, in questo “First Rose of Spring” Nelson interpreta, accanto a un paio di composizioni nuove scritte con Buddy Cannon, una serie di brani di autori del vecchio e nuovo country, dall’amico Billy Joe Shaver a Roy Clark alle star contemporanee Chris Stapleton e Toby Keith. Fin dalla title-track che apre l’album si avvertono l’intensità e la forza espressiva del vecchio texano e quella che ne viene fuori è una ballata lenta e profonda cantata con classe e arricchita da una steel guitar mai invasiva.

Due, come già scritto, le nuove canzoni firmate da Nelson con Buddy Cannon: la deliziosa ballata di frontiera “Blue Star”, con l’armonica di Mickey Raphael a creare un’atmosfera da ampi spazi e praterie sterminate, e l’altrettanto bella “Love Just Laughed”, con una struttura più vicina alle southern ballads. Ma anche le interpretazioni di brani altrui non sono da meno a partire da “Our Song”, che conferma la vena country-soul del suo autore Chris Stapleton, per proseguire con “Don’t Let The Old Man In” di Toby Keith e soprattutto “We Are The Cowboys” di Billy Joe Shaver, in tipico stile “outlaw”. E nel finale la sorpresa inattesa: una bellissima versione di “Yesterday When I Was Young”, traduzione di un classico di Charles Aznavour. Un altro pezzo di storia della musica a stelle strisce.

di Giovanni Botti

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