Il romanzo del Mostro di Modena, intervista all’autore Giovanni Iozzoli

Otto ragazze uccise tra il 1985 e il ‘95, tutte tossicodipendenti e quasi tutte dedite alla prostituzione, in una Modena caratterizzata dal boom economico, ma anche dalla drammatica diffusione dell’eroina. Una serie di delitti per i quali non si è mai trovato un colpevole e su cui prova ad aprire uno squarcio di memoria Giovanni Iozzoli con il romanzo “Il Mostro di Modena, otto femminicidi ancora irrisolti”, edito da Artestampa e scritto con la consulenza del giornalista Pier Luigi Salinaro, il primo ad ipotizzare la presenza di un solo killer dietro gli otto omicidi. “E’ stato l’editore, Carlo Bonaccini, a chiedermi di provare a fare una trasposizione narrativa del ricco materiale accumulato in 20 anni da Salinaro”, racconta Iozzoli. “All’inizio ero un po’ scettico perché mi sembrava che fossero fatti chiusi che potessero riguardare solo alcune fasce anagrafiche, poi però, quando ho cominciato ad entrare nella storia e a parlare con le persone, mi sono reso conto che questa è una vicenda molto viva e ancora aperta, ma soprattutto che evoca una serie di suggestioni e domande sulla storia recente della città. Alla fine non è stato soltanto scrivere un libro su otto omicidi, seppur degni della massima attenzione, essendosi trattato di eventi crudelissimi commessi ai danni di persone particolarmente fragili, ma anche una ricerca su come è cambiata Modena negli ultimi 30 o 40 anni”.

Una vicenda mai chiusa al punto che di recente è stata riaperta l’indagine…
E’ vero anche se, stando a quello che dicono le persone competenti, pare che il tempo trascorso sia ormai troppo, nel senso che molti reperti e tracce di indagine non sono più facilmente praticabili e andavano battuti a caldo. Proprio quello delle indagini è un altro capitolo aperto e la sensazione che si ha è che, per molti anni, siano state marcate da una grande trascuratezza, come se l’origine sociale delle ragazze, quasi tutte all’interno del circuito dell’eroina e della prostituzione, avesse in qualche modo giustificato una mancata sollecitudine degli inquirenti a indagare con forza in certe direzioni. Le ipotesi fatte sono state tante, io nel libro cito anche una pista inquietante. Pare infatti che tra gli anni ‘80 e ‘90 girasse in città una ‘squadretta’ di appartenenti alle forze dell’ordine che avesse rapporti molto disinvolti col mondo della prostituzione e che agisse in maniera piuttosto violenta. Non dimentichiamo che siamo, dal punto di vista cronologico, esattamente in parallelo con le vicende della Uno bianca. Due agenti di polizia furono anche inquisiti per l’omicidio dell’ultima ragazza, anche se entrambi furono poi ritenuti estranei ai fatti. Questo non per dire che ci sia un’indicazione su chi fosse il killer, perché questo nessuno lo sa, ma per far capire che ai tempi in città c’era un clima molto pesante, che in pochi ricordano.

A livello narrativo hai inserito una nona ragazza di fantasia, possibile vittima del mostro. Perchè?
Io non volevo girare in modo morboso intorno alla memoria di queste ragazze, già ampiamente vilipese, quindi le ho lasciate sullo sfondo e mi sono inventato una nona vittima che è anche una ‘non vittima’, visto che, nella finzione letteraria si tratta di una ragazza scomparsa per la quale, ufficialmente, è stata accettata la tesi della sparizione volontaria. Tesi alla quale, però, la famiglia non ha mai creduto. 

Quindi possiamo dire che il tuo è un romanzo inserito all’interno di una vicenda reale?
Si, il contesto e i fatti sono assolutamente reali ad eccezione della creazione letteraria di questa nona vittima e della voce del mostro, che nel libro io faccio parlare in prima persona. Questo perchè mi serviva accreditarlo come una voce della normalità modenese. Il mostro non è il classico pazzo, maniaco e depravato di certi film americani, ma un normale figlio della Modena di quell’epoca. Do anche qualche elemento biografico cercando di evidenziare la connessione tra normalità e devianza che c’è in questa vicenda.

Che Modena è quella che fa da sfondo a questa storia?
E’ la Modena degli anni ‘80 e ‘90, quella che vive il suo periodo d’oro arrivando a competere con le grandi città italiane dal punto di vista del reddito pro capite. Ma è anche una città con zone d’ombra, come la diffusione dell’eroina, che ebbe un impatto devastante, e della tossicodipendenza di massa. Ed è in questa zona d’ombra, in questa parte di città molto fragile e attaccabile, che si muove il mostro.

Il protagonista Settimio Bertacchini, il padre della ragazza scomparsa, rappresenta quella Modena?
Esattamente. E’ un piccolo artigiano che sogna la scalata sociale e arriva alla soglia del successo che aveva perseguito per tutta la vita, quando si verifica questa tragedia, la sparizione della figlia ribelle e trasgressiva. Da lì inizia il crollo economico e psicologico della famiglia. E’ un personaggio molto comune nella Modena di quegli anni.

Il libro è uscito proprio all’inizio dell’emergenza sanitaria. Che accoglienza ha avuto?
Nelle edicole è andato abbastanza bene, anche perché sono rimaste aperte durante il lockdown. Poi ha ricevuto ottime recensioni di cui sono davvero contento. E’ un libro che circolerà ancora a lungo visto che narra una vicenda più che aperta.

di Giovanni Botti

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