La fine del mondo secondo “Pangea”: l’intervista a Fabrizio Monari, autore del suo primo romanzo

Fabrizio Monari, giornalista a tutto tondo e volto noto di una tv locale, ha da poco pubblicato il suo primo romanzo, di genere fantascienza, dal titolo “Pangea. Sopravvivenza” (Damster Edizioni). La storia è ambientata in un mondo morto, in cui i superstiti vagano in Turbe, ossia carovane autosufficienti in perenne movimento. Questo sarebbe il primo capitolo di una trilogia: “Siamo appena partiti con la distribuzione – ci ha spiegato l’autore – sia su Amazon, che su librisumisura.it. Intanto vediamo come va questo, e poi vedremo quando pubblicare gli altri. L’intento è di farlo con tre copertine diverse, ma più o meno della stessa grandezza, e poterli mettere un giorno sulla mia scrivania. Se piacciono tanto meglio, ma l’importante è chiudere un percorso cominciato ormai quattro anni fa”.

Fabrizio, com’è nata l’idea di scrivere questo libro?
Partiamo da questo presupposto. Erano anni che facevo il giornalista e avevo questa sorta di “pseudo velleità letteraria”. Avevo voglia di scrivere ma non c’era veramente qualcosa di cui valesse la pena scrivere, un po’ perché non ho un vissuto particolarmente interessante, un po’ forse anche perché non avevo ispirazione. Poi è passato un periodo, tra il 2012 e il 2016 circa, in cui scrivevo tantissime cose in ogni ritaglio di tempo. Ma “Pangea” è stato il primo che sono riuscito a concludere senza il minimo sforzo, perché quando scrivevo ero come in “trance agonistica”: è stato molto più lungo il lavoro di revisione”.

A chi ti sei ispirato per raccontare questa storia?
Nel gennaio del 2012, portai mia moglie al Musée d’Orsay, dove si trova un dipinto, che è riprodotto anche nell’aletta della copertina, che si intitola “Caino” di Fernand Cormon. In questo quadro viene raffigurata la cacciata dal Paradiso Terrestre, che viene rappresentata come un fatto storico: quindi praticamente Caino e la sua progenie non sono altro che gli uomini delle caverne, vestiti di stracci che vagano nel deserto sfiniti e abbandonati. Inoltre nel 2012 uscirono tanti film catastrofici legati alla profezia Maya. Notai che erano tutti uguali: raccontavano la fine del mondo come qualcosa che avviene in fretta, nella quale non abbiamo alcuna colpa e sopravvivevano solo i migliori che potevano ripopolare la Terra. Quindi fondendo queste due idee, ho cercato di raccontare come finirà il mondo, in modo però che sia credibile: sarà una fine lunga, estremamente dolorosa e nella quale avremo una lunga la lista dei rimpianti. Non mi piace definirla una storia ambientalista, ma è molto incentrata sui difetti che stiamo dimostrando come civiltà e come specie in questo momento”.

Leggendolo ho notato che lo stile di scrittura è adattato al contesto della storia. Quanto è stato difficile adottare questo sistema?
Il paradosso è questo. Ho scritto tanti racconti, nei quali il lavoro che ho dovuto fare è stato di sottrazione, nel senso che ho uno stile di scrittura troppo ricco e aggettivato, tendo ad esagerare. Ed è un po’ lo stile dei pezzi che scrivo per il giornale, quelli non di stretta cronaca. Invece “Pangea” è stato talmente autocratico nel dirmi che bisognava che lo scrivessi in modo diverso, ovvero con periodi brevi e quasi senza frasi coordinate. Credo che sia adatto al tipo di narrazione, perché la vita nella storia è effettivamente così, diluita in questo enorme mondo”.

Me lo hai confermato prima, però leggendo il titolo e la storia sembra che alla base un messaggio ambientalista ci sia…
Quando si parla di ambiente molte persone pensano, per esempio, alla riforestazione del Parco dello Stelvio o alla riproduzione in cattività del panda. Le persone tendono a sentirla come una cosa lontana, invece dobbiamo renderci conto tutti che c’è un problema di consumi, che è un po’ il vero tema del romanzo: volevo dare l’idea di un’umanità che ha più o meno le conoscenze che abbiamo noi oggi, ma non ha più alcuna materia da trasformare, ha a malapena il cibo per sopravvivere, e deve prendere decisioni molto difficili per farlo”.

Hai in programma delle presentazioni del libro dal vivo? Covid permettendo…
Devo cominciare a lavorarci. A breve c’era un evento in programma ma, come quasi tutte le cose, è saltato. Adesso devo ricominciare un po’ da capo, ma siamo appena partiti”.

 

di Mattia Amaduzzi

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