Modena Ieri & Oggi: i tempi della Spagnola

Una frasetta ad effetto nel web, tra le tantissime che circolano in questo periodo segnato dalla pandemia del Coronavirus, recita così: “Ricordiamoci che ai nostri nonni fu ordinato di andare in guerra… A noi stanno chiedendo di stare seduti sul divano”.

Non solo i nostri nonni. Anche i nostri bisnonni furono costretti a imbracciare le armi nella prima Guerra Mondiale, un conflitto che lasciò sul campo più di 10 milioni di persone. In più, dopo la Grande Guerra, gli stessi nostri antenati dovettero far fronte all’influenza spagnola, altrimenti conosciuta come la Grande influenza o Epidemia Spagnola. Si trattò di una pandemia feroce che fra il 1918 e il 1920 uccise altre decine di milioni di persone nel mondo.

Anche Modena non venne risparmiata. La vicenda viene raccontata nel libro del giornalista e storico Fabio Montella, “Prigionieri in Emilia”.

“Con l’arrivo della febbre russa, o febbre dei tre giorni, ai più nota come Spagnola”, scrive Montella, “la città (Modena) fu sottoposta a misure igieniche precauzionali anche se il sindaco, l’avvocato Zoccoli, dell’ala destra liberale, assicurava che le condizioni di salute della città sono buone, anzi ottime (questo nell’ottobre del 1918). Alla fine di quello stesso mese si registrarono 10.532 casi, con 378 decessi. L’analisi del grave stato sanitario fu sbrigativamente affrontata affermando che la causa principale del morbo era l’eccessivo agglomerato di persone in locali chiusi e come rimedio si suggerì (anche) di mangiar poco! Si ordinò pure la disinfestazione giornaliera delle carrozze tranviarie, dei cinematografi e dei teatri. In alcuni stabilimenti si disinfettava la bocca degli operai, ritenendo che un facile veicolo di infezione fosse lo sputo. Fu ridotto il numero dei viaggiatori sui treni, vennero contingentati i biglietti agli spettacoli, sospese le visite del pubblico ai degenti negli ospedali e, alla metà di ottobre, vietate le code davanti ai negozi. I giornali americani ed in genere quelli di tutti i paesi in guerra non ne parlavano. La spagnola uccise negli Usa molto più di quanto fece la guerra, ma “la maggior parte di loro l’ha dimenticata, poiché la mente umana tende sempre a cancellare dalla memoria l’intollerabile”. L’ictus dello stesso Presidente Wilson nel 1919 si fa risalire alle conseguenze della Spagnola”.

Si stima che la Spagnola avesse un tasso di riproduzione simile a quello del Coronavirus: ogni contagiato la trasmetteva a altri due. In assenza di antibiotici (la penicillina doveva ancora essere scoperta) e ossigenoterapia, in un’Europa prostrata dalla guerra, provocò la scomparsa di decine di milioni di persone.

Ma pensiamo positivo. A partire dalla fine del 1918 l’influenza sembrò scomparire rapidamente (pur con tutti gli strascichi). Si tornò alla ‘normalità’. Arrivò anche una terza ondata, ma molto meno aggressiva. Il virus non scomparve mai, ma perse la sua letalità e la sua virulenza (anche perché molti sistemi immunitari umani lo riconoscevano), divenendo meno lesivo per i polmoni.

 

Le misure restrittive di 100 anni fa

Nell’estate del 1918, la prefettura di Reggio Emilia emise e diffuse un decalogo di misure che ricordano quelle che l’Italia sta attuando in questi strani e lunghi giorni di quarantena collettiva: “non starnutire e non tossire senza essersi coperta la bocca con un fazzoletto; non sputare in terra; non baciare, non dare la mano; non frequentare caffè, ristoranti e osterie affollati; salire in carrozza meno che si può; tenere aperte le finestre con qualunque tempo e in ogni luogo. Vivere più che si può all’aria libera; non fare visite né riceverne. Evitare di recarsi negli Ospedali e in quei luoghi ove sono, o sono stati, dei malati; non viaggiare; respirare possibilmente attraverso il naso ed evitare di volgere la bocca a chi vi parla; disinfettarsi le mani prima di mangiare; fare mattina e sera sciacqui alla bocca e gargarismi con acqua e tintura di iodio. Pulirsi regolarmente i denti; non sollevare polvere nelle case. Lavare il pavimento con disinfettanti”. E tra l’ottobre e novembre di quell’anno si arrivò alla chiusura dei cimiteri e alla limitazione delle funzioni funebri.

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