Nostalgia Canaglia: la lucidatrice-horror, il terrore tecnologico dell’infanzia anni ’70

Quando ero bambino andava per la maggiore un infernale aggeggio che mi toglieva il sonno e mi spaventava a morte: la lucidatrice. La lucidatrice mi raggelava il sangue, mi sparpagliava i sensi, mi frantumava il sistema nervoso per più di un motivo. Erano anni in cui improvvisamente le massaie cominciarono a prendersi cura dei pavimenti marmorei dei loro appartamenti con cura maniacale, dovevano brillare, risplendere, sfavillare, simboleggiando così il benessere finalmente raggiunto con quello sfolgorio degno di una Versailles piccolo borghese. La cosa mi creò una nevrosi boia e vigliacca. Innanzitutto la lucidatrice faceva un casino infernale, con quelle piastre rotanti che, se sottovalutate nel loro piroettare, potevano minimo divorarti un innocente piedino.

Ogni domenica veniva puntualmente guastata dall’apparizione del mostro, testimonianza indiscutibile del sadismo della manovratrice dell’abominevole macchina – mia madre – che, seppur casalinga e in casa da sola con tutta la settimana a disposizione, sceglieva la domenica con tutti i famigliari presenti per incerare ogni millimetro quadrato di casa mia, il tutto condito da lamentazioni a voce alta della serie ‘fuori dai piedi che devo dare la cera’, ‘tutto io devo fare in questa casa’ o, il più temuto, ‘se quando ho finito trovo un segno per terra vado via per sempre’.

Il mio cuore di bambino si riempiva di angoscia per quella minaccia: ‘sta a vedere che la mamma mi abbandonerà se metto male un piede…’. L’unica via di uscita rimaneva la fuga con mio padre, magari verso un’edicola a comprare Stadio o al bar per un cannolo, un fruttino o una cedrata Tassoni, ma il tormento nel petto continuava ad allargarsi all’idea di dover tornare a fare i conti con quel marmoreo scintillante parquet e le sue insidie. E al ritorno a casa (‘ecco! Siete stati fuori a divertirvi mentre io davo la cera!’) scattava il supplizio delle pattine per non deturpare quel lucidissimo capolavoro, su cui sognavo di acquattarmi un giorno e depositare un dirigibile marrone.

di Stefano Piccagliani
(Pubblicato su Vivo del 23 gennaio 2013)

WP-Backgrounds Lite by InoPlugs Web Design and Juwelier Schönmann 1010 Wien