Storie, quando Torquato Tasso si fermò a Castelvetro

Castelvetro non è solo la terra del lambrusco Grasparossa o delle torri (sei in tutto) che rendono unico il borgo medioevale, ma è anche un luogo ricco di storie e di cultura. Ad esempio forse non tutti ricordano che qui, presso la corte dei Conti Rangoni, soggiornò anche il grande poeta Torquato Tasso. Accadde nel 1564 e l’episodio è tutt’oggi celebrato attraverso una delle manifestazioni storico-culturali più affascinanti della provincia modenese, “Il Corteo Storico – Dama Vivente”. Sembra, inoltre, che il poeta di origine campana, proprio dalle colline della zona circostante Castelvetro abbia preso spunto per scrivere uno degli episodi più belli e bucolici della “Gerusalemme Liberata”, quello di “Erminia tra i pastori”. Ma andiamo per ordine. Torquato Tasso nacque a Sorrento nel 1544, ultimo dei tre figli di Bernardo Tasso, letterato e cortigiano di antica nobiltà bergamasca. Quando Torquato era ancora piccolo, il principe di Salerno fu bandito dal regno e suo padre fu costretto a seguire il suo protettore e lasciare Sorrento. Il Tasso quindi si stabilì prima a Bergamo poi, per continuare i suoi studi, a Padova e dal novembre del 1562, a Bologna. Tutto stava procedendo bene, quando cominciarono a diffondersi calunnie anonime che deridevano, anche pesantemente, parecchi scolari, professori e cittadini. Il sospetto più diffuso era che l’autore fosse proprio il Tasso.

Il problema principale, però, fu il fatto che, tra questi scolari derisi ci fosse anche un certo Giambattista Arese, figlio di un uomo di legge, che fece sì che questa birichinata di studenti si trasformasse in una disputa degna di essere portata in tribunale. Una notte, mentre il Tasso era assente, il capo della polizia si recò alla casa dove alloggiava, con un mandato di cattura, di perquisizione e di sequestro della sua roba. Avvertito, però, nella stessa notte, dei provvedimenti che erano stati presi contro di lui, il poeta fuggì da Bologna e s’avviò verso Mantova, dove pensava di unirsi al padre. Era il febbraio del 1564 quando il Tasso giunse a Modena e venne a sapere che il padre era a sua volta partito per Roma. Il poeta quindi decise di lasciare anche la città geminiana e di rifugiarsi a Castelvetro, feudo dei suoi amici, i Conti Rangoni, dove si tranquillizzò e scrisse una lettera a monsignor Cesi, nella quale dichiarò la propria innocenza e si lamentò dell’ingiurioso trattamento ricevuto. La causa venne poi sospesa “lasciando la vergogna e il ridicolo a quelli che cercavano la pena e l’infamia del Tasso”. Non si sa di preciso per quanto tempo il Tasso si sia fermato a Castelvetro, probabilmente non molto a lungo. Si sa per certo, invece, che da Castelvetro passò a Correggio, ospite di Claudia Rangoni, principessa amante della cultura e dell’arte. A ricordo del soggiorno del grande poeta nel palazzo Rangoni di Castelvetro, sulla sommità della porta di accesso allo stesso palazzo è stata posta una lapide.

Le colline di Castelvetro ed “Erminia tra i pastori”

Come abbiamo ricordato nel articolo qui sopra, la seppure breve permanenza di Torquato Tasso sulle colline di Castelvetro pare abbia influenzato uno degli episodi più celebri del suo capolavoro, “La Gerusalemme Liberata”. Siamo nel Canto VII del poema. Erminia, figlia dell’emiro di Antiochia, si innamora segretamente di Tancredi da cui è stata fatta prigioniera e poi liberata; resa audace dall’amore, si avvia a curare l’uomo amato, ferito durante un combattimento. Ma, sorpresa fuori delle mura di Gerusalemme da alcuni cavalieri cristiani, si volge in precipitosa fuga e si rifugia in una ridente campagna non sconvolta dal fragore delle armi. E’ qui che trova ospitalità presso un pastore che aveva avuto esperienza, nei suoi anni giovanili, dell’infida e agitata vita delle corti cittadine. Nella pace e serenità di questa natura incontaminata, la ragazza riesce a placare, almeno in parte la sua ansia d’amore. In mezzo ai pastori, Erminia non riesce però a nascondere le sue origini nobili, che traspaiono inevitabilmente anche sotto i rozzi panni che la fanciulla indossa mentre porta le bestie al pascolo e munge le capre. Questo fatto permette al poeta di esprimere la sua polemica contro la vita delle corti in cui la principessa, e lui stesso, sono imprigionati.

(GB)

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