Alberto Bertoli tra un nuovo singolo e il Premio dedicato al padre

E’ un buon periodo per Alberto Bertoli. Sta chiudendo un’estate intensissima, piena di date e concerti dal vivo; ora, tra le varie cose, prepara l’avvicinamento al Premio Pierangelo Bertoli, in programma l’11 novembre prossimo, nel 15° anniversario della scomparsa del padre, indimenticato cantautore.

Alberto, è appena uscito il tuo nuovo singolo: “Chiamami”. Che pezzo è?
Affronta una tematica sociale; sai, anche se siamo nell’era della comunicazione, chi comunica tramite i social network, whatsapp e roba simile, spesso non viene ascoltata. Molta gente si sente sola, e la canzone vuol dire “chiamami, io sono qui”, ma abbiamo bisogno di un’interazione un po’ più diretta, che coinvolga tutti e cinque i sensi. Nel parlato anche la prosodia conta. Capisci se uno ti fa una domanda o no dall’intonazione della voce. Invece digitando è tutto più distante.

Sono i guai della tecnologia?
No, non vedo segni negativi o positivi. Solo, è come quando arriva fuori una moda, ci si concentra su quella. In futuro la tecnologia andrà ancora avanti, per adesso però molti vivono in un mondo bidimensionale, che è un po’ poco. Comunque è anche una canzone d’amore verso le persone. Telefono amico, l’ha adottata come un inno e mi fa piacere.

Tuo padre come si sarebbe comportato con Facebook et simila?
Mah, era un grande appassionato di fantascienza, ma quando è cominciata la rivoluzione del computer negli anni ‘90, lui si è tenuto alla larga. Era pigro, non gli interessava molto. Mia madre, per contro, che assomiglia molto a mio padre in tante cose, utilizza Facebook da un paio di anni. Ha già riscontrato che la comunicazione scritta non sostituisce il parlato. E che nel web ci sono i cretini. E’ vero, ci sono sempre stati. Però Umberto Eco spiegava che su internet ognuno ha lo stesso grado di attendibilità. Questo è il guaio. Prendi la medicina: se sono un medico, so di cosa parlo, non di aria fritta. Pensa invece a come tanti prendono posizione su questioni delicatissime e specifiche come le vaccinazioni, come se ne sapessero molto. Per esempio, sentire il Povia di turno che spara le sue sentenze, a me fa venire freddo.

La canzone rimane un veicolo potente di comunicazione nel 2017?
Sì, ha sempre una carica emotiva potentissima. Il problema è che il livello di multitasking si è alzato molto. Oggi è più importante darsi il tempo di ascoltare musica. Dell’America mio padre non sopportava che dappertutto ci fosse musica di sottofondo. Ora, io non sono così radicale, ma il sottofondo sta aumentando vertiginosamente a scapito dell’ascolto puro.

Parliamo dei tuoi collaboratori: che tipo di legame hai con Marco Dieci?
Lo ricordo da quando ero bambino, ha sempre frequentato casa mia. Una figura di grande riferimento affettivo e musicale. La persona più vicina al mondo di mio padre. Un piacere e un dovere coinvolgerlo.

E con Riccardo Benini?
Lo stimo moltissimo, anima molti premi, ha un’integrità che mi ha convinto a intraprendere questa nuova avventura. Un premio intitolato a mio padre me l’avevano proposto in tanti, ma mi sembrava sempre una mossa speculativa; quando me l’ha chiesto lui, ho sentito che ci credeva davvero, che amava la musica di mio padre, perché era credibile.

Presenterà Andrea Barbi, giusto?
Con lui c’è proprio una forte amicizia, ci sentiamo spessissimo, al di fuori dell’ambito professionale. Ha un atteggiamento sempre leggero sulle cose, che trovo molto pertinente per animare un premio serio come il Bertoli. Qualche battuta aiuta sempre, alleggerisce il clima, pur senza allontanarsi dal significato del premio.

di Francesco Rossetti

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