Delfini, odio-amore per Modena: l’intervista allo scrittore Roberto Vaccari

Una prova ardua e affascinante, quella di far parlare in prima persona un personaggio complesso, per certi versi sfuggente, come Antonio Delfini. Ebbene, impresa compiuta per Roberto Vaccari con il suo nuovo “Io Antonio Delfini. Memorie postume di un personaggio da romanzo”, pubblicato da Elis Colombini. (Il ritratto al centro è di Gianluigi Toccafondo)

Vaccari, come ha affrontato la figura di Delfini?
Intanto non volevo fare una biografia, ma un’opera letteraria. Sull’opera di Delfini esistono numerosi saggi, ho trovato contributi anche in enciclopedie letterarie americane e inglesi. Io invece volevo provare a raccontarne la storia da un’angolazione diversa. Così ho finto di incontrare il suo fantasma e di sollecitare una sua reazione, accusandolo di alcune colpe per sollecitare una sorta di difesa d’ufficio della sua vita e delle sue opere. Insomma ho cercato di interrogarlo sulla sua vita.

Che umore aveva questo fantasma?
Sulle prime è un po’ seccato di essere tirato in ballo per le sue simpatie politiche. Lui fu fascista della prima ora, si era iscritto a 13 anni e a quell’età si potrebbe perdonare a chiunque una ‘svista’ del genere. Peraltro si vantò anche di aver partecipato a imprese squadristiche. Poi, via via che il dialogo va avanti, il suo umore cambia fino a diventare quello che è diventato il suo stato negli ultimi anni della sua vita: triste, isolato. La sua è in fondo una figura tragica. Un ‘personaggio da romanzo’ perché ne ha fatte tante e il contrario di tante, ma poi alla fine è rimasto solo, non è stato compreso dai suoi concittadini.

Con Modena c’era dunque un rapporto di amore e odio?
Delfini visse parecchi anni fuori Modena: a Roma, Milano, Firenze, spesso a Viareggio. Eppure Modena è assolutamente centrale nelle sue opere, anche quando parla di altri luoghi e contesti. A un certo punto dovette vendere la casa di famiglia nell’attuale corso Canalgrande, per lui fu una svolta di vita perché quella casa rappresentava tutta la sua infanzia e la sua giovinezza.

Non era un autore prolifico?
La sua era una letteratrura difficile e rada. Scriveva molto poco, ha lasciato pochissimo della sua infinita immaginazione. Non si sposò mai. Da una relazione con la figlia del pittore Carena, ebbe tuttavia una figlia, che Delfini ha poi riconosciuto. Si chiama Giovanna, nacque nel 1946, oggi ha poco più di 70 anni. A lei Delfini ha lasciato in eredità i diritti d’autore e le sue carte.

Cosa consiglierebbe di leggere di Delfini oggi?
Purtroppo oggi si trova poco in commercio, soltanto le sue “Poesie della fine del mondo”. Ne consiglio la lettura perché lì c’è tutto il suo mondo, l’odio-amore per la sua città, la breve storia d’amore con Luisa Bormioli, figlia di industriali del vetro di Parma. Da leggere sono “Modena 1831, città della “Chartreuse” e i racconti de “Il ricordo della Basca”.

Che contengono la celebre introduzione…
E’ forse il più bello scritto biografico che esista in Italia. Andrebbe letto nelle scuole, per imparare come si dovrebbe fare autobiografia. Un racconto illuminante, un giro turistico per Modena dove c’è tutta la sua immaginazione, e si ritrovano piazza Roma, l’Accademia, l’allora piazza d’Armi, etc. Poi ci sarebbero anche i diari, pubblicati nei primissimi anni ‘80 da Einaudi, grazie a Cesare Garboli. Diari ‘spurgati’ dai curatori e dalla famiglia.

Possiamo definirlo un emiliano atipico?
Di sicuro era una persona difficile, a volte odiosa, di quelle che oggi non esistono più. A Modena da giovane passava molto tempo al Caffè Nazionale, sotto i portici del Collegio, con i suoi amici, facendo scherzi. Era la via Emilia dove passavano i gerarchi, che lui prendeva in giro. Emiliano atipico perché era figlio di possidenti, che negli anni ‘20 disponevano di una casa da villeggiatura, a Viareggio. Era nato nella villa di Disvetro, a Cavezzo. Aveva avuto un avo che si chiamava anch’esso Antonio Delfini, che era compagno di avventure risorgimentali con Ciro Menotti. Ebbe contatti non episodici con i grandi della letteratura italiana, da Moravia a Pasolini, e fu amico di Pannunzio e Guandalini.

In vita non ebbe grandi riconoscimenti come scrittore…
Infatti gli venne conferito il Premio Viareggio postumo, nel 1963, pochi mesi dopo la sua morte. Un’eccezione al regolamento che venne concessa solo a Delfini e a Gramsci nel 1946. I riconoscimenti gli sono arrivati, ma solo dopo la morte. Ma, ripeto, non aveva un carattere facile. Per esempio, già negli anni ‘20, fece avere all’editore Formiggini una sua opera. E Formiggini gliela recensì, scrivendo che si trattava dell’opera di un giovane di belle speranza, ma niente più. Delfini se la prese talmente tanto che letteralmente cancellò Formiggini dalla sua vita. Non scriverà mai una riga su di lui, nemmeno sul tragico suicidio del 1938. Eppure era generoso, ingenuo; era facile approfittarsene.

Se fosse vivo oggi, chi voterebbe Antoni Delfini?
In politica è sempre stato un interventista. Ma si stancò presto dell’ambiente angusto e chiuso del fascismo. Spernacchiò Mussolini. Alle elezioni del 1953 si candidò nella circoscrizione di Viareggio per il Partito Liberal Popolare; non venne eletto. Scrisse un “Manifesto conservatore e comunista” che si può trovare in internet. Non so, oggi lo vedrei come un conservatore liberale, illuminato. Non gli piacerebbero i populisti; forse si asterrebbe.

 

di Francesco Rossetti

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