Il rock esplosivo degli Evil Knievel: l’intervista al band leader Davide Cocco Cocconcelli

Gli Evil Knievel sono un nuovo gruppo uscito dal vivaio modenese, hanno pubblicato un disco (ottimamente recensito) e amano fare concerti. Il leader è Davide Cocco Cocconcelli (foto), chitarra e una voce che non si dimentica. Quello che segue è l’esito di una chiacchierata a tutto campo.

Cocco, la musica modifica il tuo stato d’animo?
Beh sì. Mi procura stimoli che altre cose non possono darmi. Inconsciamente trasmette vibrazioni che creano energia positiva. Anche il cantare mi dà una sicurezza che altrimenti non trovo.

Quindi ha un potere evocativo per te?
Certamente, mi rendo conto che la musica è una colonna sonora di tanti momenti. Certe esperienze, scollegate dalla musica, non avrebbero lo stesso valore. E basti pensare anche al cinema.

E’ vero che certe canzoni rimangono indelebili?
A me è capitato spesso. Ci sono canzoni che mi tiro dietro da tanti anni. Mi vengono in mente ‘ascolti’ fatti da ragazzino, che ancora mi trasmettono emozioni non eguagliabili.

Cosa ascoltavi da adolescente?
Intorno ai 12-13 anni ho cominciato ad approcciare la musica inglese e americana. Ho cominciato andando in biblioteca, a Scandiano, prendendo in prestito. E con i dischi di mio fratello più grande. All’inizio Jimi Hendrix, i Doors, i Led Zeppelin, quei gruppi che all’epoca era quasi un obbligo conoscere.

La chitarra, a che età hai iniziato a suonarla? E quando hai cominciato anche a cantare?
Fra i 13 e i 14 anni. Poi, nella prima band, a un certo punto, non trovavamo un cantante. Ho provato io, i pezzi venivano bene, lì ho capito che funzionavo. Mi veniva facile. Ho capito anche che avevo più possibilità di venir fuori come voce che con la chitarra. Sai, della mia età c’era un sacco di gente che suonava…

Tu sei cresciuto quando già non c’erano più i vinili?
I primi dischi comprati erano in cassetta; i cd costavano molto.

Ti piaceva andare a scuola?
Dov’ero io, ti divertivi di più a stare a scuola che a far fughe. La prima fuga che ho fatto mi hanno scoperto subito. L’alternativa era stare tutta la mattina al bocciodromo, allora meglio andare a scuola. Però le mie energie sono andate più sulla musica.

Cos’è una band? E’ anche avere degli amici?
Mi piace suonare anche da solo e sentirmi libero di gestirmi alla mia maniera, senza dipendere da altri. Con un gruppo è bello perché dove finisci tu, parte l’altro, che suona in un modo che tu non saresti in grado di fare (comunque non bene come lui). Nascono cose che da solo non troveresti. Poi, certo, c’è l’amicizia.

Fare musica aiuta a rimorchiare?
(risata) Non lo fai per quello, ma comunque ti metti in mostra…

Il disco degli Evil Knievel com’è nato?
Era un po’ che avevo questo progetto. Con la band precedente non ero riuscito a metter giù la mia musica, forse non ero pronto neanch’io. Quando fai pezzi tuoi, devi avere un’idea, una struttura precisa da proporre a chi suona con te, poi certo alcune cose le scopri improvvisando. E’ facile perdersi, abbattersi. Con questa band ero più convinto, il gruppo ha risposto bene alle idee.

Che tipo di disco è? Che genere di musica suonate?
Sono nove pezzi: le influenze vengono dalle band di fine ‘60 e inizio ‘70, dalla psichedelia al rock and roll, dal glam al garage.

Dove l’avete registrato?
Siamo andati all’Outside Inside Studio di Matt Bordin. Abbiamo spedito una demo e loro erano interessati al nostro tipo di suono. In studio abbiamo cercato di riproporre un clima di suono dal vivo. Del resto una volta si registrava quasi sempre in diretta.

Chi suona con te?
Marco Falavigna (batteria), Luca Camellini (basso), Riccardo Rossi (chitarra solista) e il polistrumentista Daniele Rossi.

Ti piace suonare dal vivo?
Sì, molto. Sono sul palco ed è quello che voglio e mi piace fare. Dò sempre il massimo, chiunque stia ad ascoltarmi.

Il viaggio con la band è un momento importante?
A prescindere dalla musica, è il viaggio in sé ad essere una delle cose più belle. Se poi lo puoi fare insieme, dà molta carica.

Scrivi in inglese: come nasce un testo?
Non sono un madrelingua, ma dopo tanti anni che canto in inglese, percepisco al volo una musicalità. Una volta, guardando un concerto, sono andato in bagno e di getto ho scritto un testo in italiano. Quando l’ho tradotto, il senso era rimasto intatto. Conta la musicalità rispetto agli accordi. Annoto pensieri, a volte rimane una frase buona. E’ un piacere, quello della scrittura, che ho scoperto di recente, con questa band.

In definitiva il rock è salvifico o autodistruttivo?
Ti aiuta perché è un modo di comunicare, di esprimerti, di dire qualcosa. E’ quello che accompagna il suonare che a volte può creare dei problemi. Tutto dipende da come uno si gestisce. In sé la musica è solo positiva, esorcizza certi fantasmi, te li fai scivolare in una maniera bella.

 

di Francesco Rossetti

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