La Maserati nel cuore: la storia della celebre casa automobilistica raccontata da Ermanno Cozza

La storia della Maserati in un unico volume, scritto da chi la Maserati l’ha vissuta dall’inizio ad oggi, ovvero Ermanno Cozza. Il libro – “Con la Maserati nel cuore” (Giorgio Nada Editore) – è ricchissimo, 500 pagine, una miniera di aneddoti e retroscena che gli appassionati di storia e di motori non possono lasciarsi sfuggire. E per il prossimo giugno è attesa l’edizione inglese del libro, a grande richiesta degli appasionati sparsi nel mondo. “La Maserati ha estimatori e collezionisti in tutto il mondo”, spiega Cozza. “Se mi chiede se sia possibile separare il nome Maserati da Modena, beh, rispondo di no”. “Più che la mia biografia, – continua Cozza – il libro è il racconto di un’epopea industriale, di un’azienda che da artigianale qual era, seppe dominare il mondo e vincere il titolo di Formula 1 con mezzi enormemente inferiori rispetto alla concorrenza tedesca. Pensi, al reparto ricerca sviluppo noi eravamo 5, mentre i nostri avversari potevano contare su 50 ingegneri.”

Ermanno Cozza, la sua storia in Maserati comincia nel 1951: è riuscito a mettere tutti i suoi ricordi dentro al libro? O qualcosa è rimasto fuori?
Sì, ovvio, sono rimaste fuori tante cose. Quando mi hanno fatto promettere di scrivere il libro, ero riluttante ma, come si dice… “ogni promessa è debito”. Ho dovuto prima fare una scaletta per mettere in ordine cronologico i miei ricordi. A libro finito, parlando con amici, mi sono tornati in mente episodi che purtroppo nel libro non sono entrati. Vorrà dire che magari faremo un secondo volume, prima o poi me lo faranno scrivere.

La Maserati divenne grande a Modena ma è nata a Bologna, giusto?
Se vogliamo esser più precisi, la storia parte da Voghera. I fratelli sono nati lì, sul finire dell’800. Il papà Rodolfo era un dipendente delle Ferrovie dello Stato, un addetto agli scambi. Vivevano in una casa cantoniera. Anche Alfieri, uno dei figli e il fondatore, è cresciuto a Voghera. Poi, dopo una serie di esperienze come capotecnico a Londra e in Argentina, venne mandato dalla Isotta Fraschini a Bologna per aprire una succursale. Lì cominciò con delle ibride, e i giornali scrivevano: ma chi è questo Maserati che sta davanti a Bugatti e all’Alfa Romeo?

Che tipi erano i Maserati?
Gran lavoratori appassionati. Andavano a letto alla sera soddisfatti per quello che erano riusciti a fare di nuovo nella meccanica, non pensavano al vil denaro, avevano sempre l’acqua alla gola. A un certo punto entrarono in contatto con il commendator Adolfo Orsi che era un industriale di Modena, e nel ‘37 si trasferirono qui, in via Ciro Menotti.

Com’è nato il simbolo del Tridente?
Un mecenate, il marchese Diego de Sterlich, amico di famiglia e sostenitore della scuderia Maserati, aveva fatto studi classici, sapeva che nella mitologia greca il tridente simboleggiava la forza. Imbeccò uno dei fratelli Maserati – Mario – che lo disegnò. Conserviamo ancora i disegni originali. Alfieri poi purtroppo morì nel ‘32, mentre i fratelli tirarono avanti.

Come era il clima di lavoro negli anni ‘50 rispetto a oggi: un’altra epoca?
Sì, c’è una differenza enorme con l’oggi. Allora Maserati e Ferrari, sebbene fossero nomi conosciuti in tutto il mondo, restavano pur sempre identità artigianali. L’operaio, il tecnico, era a contatto quotidianamente con la proprietà. Si instaurava un rapporto di stima e di fiducia che poteva anche essere premiante e ti faceva provare un senso di appartenenza. A lavorare io non ho mai faticato, perché era la mia passione. Oggi è tutto diverso, l’amministratore delegato vive a migliaia di chilometri dalla fabbrica.

Quando è cambiato il rapporto?
Dopo il ‘68, e i sindacati hanno molte responsabilità. Volevano che tutti gli operai fossero uguali. Un lavativo valeva quanto quello bravo: l’aumento doveva essere lo stesso per tutti.

Lei racconta che passò il Natale del ‘53 in officina.
Sì, lavorammo anche il giorno di Natale. La federazione internazionale aveva stabilito un cambio nella formula. Ci siamo messi a lavorare senza soste per progettare la nuova macchina. Volevamo dare a Fangio un motore potente. Fu deliberato la mattina del 25 dicembre, alle 11; nel pomeriggio fu montato e venne testato nel giorno di Santo Stefano. L’auto fu spedita in Argentina, con meccanico al seguito. L’avevamo messa a punto a 2 gradi centigradi, mentre in Argentina era caldissimo. La fortuna fu che durante la corsa venne giù un gran temporale, la temperatura si abbassò e Fangio, che guidava con la testa, non solo spingendo sull’acceleratore, riuscì a spuntarla sul traguardo.

Fangio vinse il campionato del mondo piloti a bordo della Maserati nel 1957…
I piloti sono sempre andati in cerca delle auto migliori. Nel ‘56 Fangio andò alla Ferrari e vinse, l’anno successivo tornò in Maserati e vinse. Fino agli anni ‘60 il pilota contava allora un po’ più del 50%. Negli anni ‘30 il fenomeno era Nuvolari, secondo Varzi. Negli anni ‘50 senza dubbio Fangio; negli anni ‘60 senza dubbio Jim Clark. Poi le cose sono cambiate.

di Francesco Rossetti

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