L’ultimo giardino di Alice: dal 12 ottobre al via la mostra dell’artista modenese

La mostra che s’inaugura sabato 12 ottobre, alle 18.30, nei grandi spazi dell’Hangar Rosso Tiepido (appena fuori Modena, in via Emilia est 1420/2) configura una nuova sfida espositiva per l’artista modenese Alice Padovani (nella foto). “L’ultimo giardino” – questo il titolo – si presenta infatti come un’installazione di grande formato, dove le singole opere dialogano fra di loro in un percorso di visita che si preannuncia originale quanto insolito.

Alice, lo spazio nel quale allestisci è quantomeno particolare…
Sì, è il classico capannone industriale, convertito in contenitore culturale. Tiziano del Vacchio, l’ideatore di Rosso Tiepido, l’ha trasformato in una grande raccolta di lavori di artisti urbani. È un luogo che a prima vista non si adatta alle mie opere che richiedono spesso lo spazio bianco di una galleria e un’attenzione concentrata, che non si disperda. Ma questo è interessante e fa parte della sfida di questo allestimento. Del resto, traendo ispirazione ed esperienza dal teatro, dalle arti visive e da lavori performativi site-specific, ho sempre trovato stimolo nell’adattarmi agli spazi e nel cercare di farli diventare ‘giusti’ per ciò che propongo.

Le tue opere come entreranno a far parte di questo spazio?
Dal momento che le pareti, il soffitto e parte dei pavimenti sono affrescati, lo spazio appare già molto connotato. I miei pezzi non potevano essere appesi alle pareti. Così ci siamo immaginati una grande installazione che ingloba i singoli pezzi presenti nella mostra. Ogni opera sarà inserita dentro una struttura di metallo, sorretta da un cavo di acciaio, e sarà un po’ come viaggiare nel vuoto e incrociare questi pezzi sospesi in aria. Lo spazio sarà buio, solo i pezzi saranno illuminati, ciascuno da una luce dedicata.

Un percorso tra opere sospese?
Sì, e qui c’è l’idea duplice del giardino, che viene vissuto come una passeggiata senza direzioni imposte e che al contempo diventa contenitore di ciò che resta della natura.

La natura è messa in pericolo dalle alterazioni climatiche?
Sì, e a questo proposito il mondo degli insetti, così presente nel mio lavoro, è il primo a essere sottoposto a una sparizione di massa pressoché invisibile. Molti studi dimostrano un declino globale allarmante che sembra destinato ad accelerare nei prossimi anni. Un dato drammatico che inciderà sempre di più sull’intera catena dell’ecosistema.

Da dove viene la tua passione per l’entomologia?
Semplice, mio padre è un entomologo. Da quando sono bambina ho familiarità con gli insetti. Fanno parte della mia vita da sempre e li considero un pezzo importante della mia storia.

Il teatro: in che modo quel linguaggio riverbera nel tuo fare artistico?
Lo considero fondante. Le mie teche sono piccoli mondi di cui io sono la regista. Assemblarle è un po’ come organizzare i singoli elementi di uno spettacolo: la scenografia, gli attori, le voci, i suoni. E d’altra parte, quando lavoravo in ambito teatrale, tutto il mio interesse era già sbilanciato verso l’immagine.

Quanto c’è di istinto e quanto di paziente catalogazione, nel tuo fare artistico?
Il mio lavoro a un primo sguardo sembra solo meticoloso, razionale e paziente, ma in realtà l’istinto è forse la parte preponderante. L’idea arriva spesso quando non la sto cercando, come un’immagine e questa è la parte più istintiva. Poi subentra il lavoro di reperimento e assemblaggio delle parti che compongono l’opera: lento, preciso, ossessivo.

Ti senti vicina all’arte di Jan Fabre?
Anche lui aveva un parente entomologo, anche lui si è approcciato al teatro. Quindi tra noi ci sono piccoli binari paralleli. Però lui lavora con gli insetti in un modo completamente diverso dal mio. Li utilizza quasi fossero colori di una tavolozza, a volte in modo massiccio. Io non riuscirei a farlo, perché c’è molto spazio di emotività legato all’insetto morto e che di conseguenza viene trattato con molta delicatezza. Faccio parlare la loro fragilità e la loro bellezza, che spesso passano inosservate ai nostri occhi.

Ti senti più modenese o cittadina del mondo?
Entrambe le cose. Capisco di avere radici molto profonde, perché potrei andare a lavorare ovunque, magari in un posto dove l’arte è tenuta in maggior considerazione. Se non lo faccio è perché mi sento radicata a questa città. Ad ogni modo, non voglio essere per forza associata a un luogo, e allo stesso tempo non mi interessa esprimere il mio genere attraverso l’arte. Femminile o maschile sono categorie che non mi interessano all’interno del discorso artistico. Alle divisioni preferisco comunque l’universalità.

La mostra “L’ultimo giardino” resterà visitabile fino al 10 novembre. Ingresso libero. Orari di apertura: dal lunedì al sabato dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18. Domenica su appuntamento. Info: 059.282353, 335.5423879.

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