Modena Ieri & Oggi: quando Basquiat dipinse a Modena

Prendete un ventenne newyorkese, capelli rasta, graffitaro, tossicodipendente, sconosciuto anche a se stesso eppure maledettamente talentuoso. Il suo nome è Jean-Michel Basquiat. Ora prelevatelo dal suo habitat metropolitano e portatelo nella Modena del 1981, chiuso in una galleria del centro a dipingere, dipingere, dipingere. Secondo voi, è una storia plausibile? Forse no, ma questo è il bello, perché le cose sono andate proprio così. Quello che sarebbe stato definito come il Jimi Hendrix del mondo dell’arte venne scoperto e ospitato in città dal gallerista Emilio Mazzoli. Basquiat non era mai stato in Italia: per salire su un aereo dovette fare in quattro e quattr’otto il passaporto. Non conosceva una parola di italiano e l’approdo sotto la Ghirlandina gli provocò qualcosa di simile ad uno shock culturale.

Per strada lo guardavano come un freak, del resto nessuno all’epoca girava con i dreadlocks e i vestiti macchiati di pittura. Basquiat era anche un musicista, di sicuro un animale da locali notturni e Modena gli offrì solo lo Snoopy, un posto che solo qualche anno prima aveva visto un altro “sconvolto” nostrano – Vasco Rossi – esprimersi in consolle. Nel frattempo con Mazzoli montava una crescente incomprensione, anche per via della lingua: uno non parlava inglese, l’altro ignorava l’italiano. Basquiat aveva l’impressione di venire sfruttato, un amico racconta che “cominciò ad avere la sensazione di fabbricare quadri per l’uomo bianco”.

Di sicuro il gallerista modenese fu lungimirante e ci fece dei bei soldi. Basquiat invece tornò negli States e di lì in poi la sua vita fu una vorticosa ascesa artistica e mediatica fino alla morte nel 1988 – a soli 27 anni – per overdose di eroina. Come ben racconta il film di Julian Schnabel, l’artista di Brooklyn divenne molto amico di Andy Warhol, cominciò ad esporre in tutto il mondo, apparve sulla copertina del New York Times, viaggiò anche in Africa dove espose ad Abidjan, in Costa d’Avorio. Fisicamente si teneva in forma con la boxe, quando tuttavia non cadeva nel buco nero della droga e provava a disintossicarsi. Espose insieme a Keith Haring, suonò insieme all’attore Vincent Gallo, intrattenne relazioni con molte donne, una anche con miss Veronica Ciccone, in arte Madonna.

Dopo la morte di Warhol nel 1987, cominciò a soffrire sempre più di disturbi psichici e ripiombò nella tossicodipendenza. Sul suo lavoro, diceva che non sapeva definirlo, descriverlo: “è come chiedere a Miles Davis com’è il suono della sua tromba”. La sua breve vicenda umana ha fotografato un’epoca, nello scatto c’è anche un po’ di Modena.

di Francesco Rossetti
(Pubblicato sul Vivo del 6 marzo 2013)

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