Musica che passione! Intervista al cantautore Davide Turci

Il nostro territorio è sempre stato caratterizzato da un sottobosco di musicisti magari poco conosciuti ma dotati di talento e soprattutto di una grande passione. Davide Turci è sicuramente uno di questi. Di mestiere fa l’infermiere sui mezzi di soccorso del 118, ma la sua vita è anche e soprattutto la musica, il suonare e lo scrivere canzoni. “Suono praticamente da sempre e credo che la mia passione per la musica abbia caratterizzato il mio percorso di vita fin da piccolo – ci racconta – soltanto con la maturità però ho iniziato a viverla in maniera più seriosa e impegnata”.

C’è stato qualche musicista che tu apprezzavi particolarmente, che all’inizio ti ha fatto venire la voglia di suonare?
In realtà io sono sempre stato innamorato della musica e non di un artista in particolare. E’ per questo che, nel tempo, sono riuscito a collaborare con gente di ambiti musicali diversi, dall’elettronica al folk, dal pop al rock al funky.

Quando hai iniziato a scrivere canzoni?
Molto presto. Per me è un’esigenza. La canzone penso sia un luogo dentro al quale assumere una posizione di assoluta libertà. Comporre quindi per me, come dicevo, è un’esigenza, significa stare meglio e molte volte sfogarmi.

L’italiano sicuramente non è una lingua facile da utilizzare per la musica. In molti scrivono in inglese…
Beh, io sono padrone della lingua italiana, non di quella inglese. E la bellezza dell’italiano è il fatto che ti offre spesso la possibilità di usufruire di un sinonimo che, concettualmente, può trasmettere lo stesso contenuto, ma con un colore diverso. Con l’inglese, la mia padronanza della lingua non sarebbe sufficiente per ottenere questo risultato.

Qual è il genere musicale che preferisci?
La mia risposta è ‘boh’, nel senso che mi piacciono artisti che appartengono a mondi completamente diversi: da Fossati ai Subsonica ai Mumford & Sons, tanto per fare dei nomi. Scelgo la musica in base al mio stato d’animo e umore.

“Tu” è il primo album a tuo nome. Chi è il “Tu” del titolo?
Chiunque, anche tu Giovanni. In realtà ci siamo accorti che questo disco non è altro che una serie di racconti che propongo agli altri. Quindi le alternative erano “Per te” e “Tu”. “Tu” è un bel gioco di parole, sono anche le prime due lettere del mio cognome, e abbiamo deciso di scegliere questo titolo.

Il tuo lavoro, ogni tanto, è fonte di ispirazione per le canzoni?
Il mio è un ambiente di lavoro in cui si ha a che fare spesso con il dolore e quindi a volte influenza anche le mie canzoni che, come ho detto, rappresentano per me una valvola di sfogo.

Ti piace la dimensione live? Fai molti concerti?
Per fare molti concerti dal vivo devo essere poliedrico e quindi proporre altri progetti affiancati a quello di musica originale. Ad esempio porto in giro anche cover in chiave acustica, situazioni in cui, comunque, inserisco sempre qualche mia canzone. Per suonare tanto bisogna sapersi adattare o almeno considerare anche le esigenze di chi ti chiama a suonare.

Se dovessi citare un paio di brani particolarmente significativi del tuo album, quale diresti?
Sicuramente “La sedia”, scelto come primo singolo, un brano che racconta di persone che vengono collocate su sedie con un potere decisionale importante senza averne le competenze. Poi direi “42”, che parla, in maniera anche goliardica, della mia età. (Ph. Annalisa Russo)

di Giovanni Botti

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