Una terra piena di storie. La racconta il giornalista Gian Stefano Spoto nel suo libro ‘Mediorientati’.

Emiliano doc, giornalista della carta stampata prestato alla televisione, Gian Stefano Spoto (foto) è stato, fra l’altro, capo della cronaca del TG2, vicedirettore di Raidue e di Rai Internazionale. Dal 2014 al 2016 è stato corrispondente RAI dal Medio Oriente. Frutto di quel biennio è il libro “Mediorientati. Oltre la Storia, le storie” (Ianieri 2017, pagg. 184)

Spoto, com’è nata l’idea del libro?
Quando sono tornato dal Medioriente, mi sono reso conto che avevo parlato per un anno e mezzo di tanti avvenimenti della Storia, quella con la S maiuscola: i bombardamenti israeliani, la guerra di Gaza, gli attentati. Una narrazione giornalistica direzionata sostanzialmente dai politici, i potenti, i capi religiosi. Del resto un servizio di telegiornale dura al massimo poco più di un minuto, non c’è mai spazio per il resto della storia. Nel libro quindi volevo raccontare quelle piccole storie che danno l’idea di come si vive, di come si continua a vivere, nonostante l’angoscia di una destabilizzazione continua.

Ci sono sprazzi di leggerezza, di ironia?
Ci sono eccome. Io sono soprattutto un giornalista di costume, il tratto del mio scrivere è il sorriso, non la tragedia. Pur dovendomi occupare di conflitti, ho provato anche a raccontare cose che possono far sperare che c’è qualcosa di buono, nonostante la tensione.

Qualche esempio?
Una serie di start up in Israele: i pesci da acquario esportati in tutto il mondo e coltivati nel deserto, con la stessa acqua con cui producono l’insalata; la violinista lituana che ha suonato durante un intervento chirurgico alla sua scatola cranica, una cosa fuori da ogni immaginazione. E ancora il ragazzo israeliano che ha creato un’app per musicisti di tutto il mondo perché suonassero insieme in contemporanea, celebrando il compleanno di Mozart.

La tecnologia e l’innovazione sono sempre protagonisti positivi, è così?
No, è che il mondo va avanti, io stesso faccio cose diverse rispetto a quello che facevo venti anni fa, non ci si può ancorare troppo al passato. Anche il modo di fare informazione cambia. Una volta le news erano in mano ai media tradizionali, ora le fonti sono dappertutto, anche sui social, dove però circolano più fake che verità. Ancora oggi preferiamo il libro di carta, ma prima o poi cederemo ai nuovi formati.

L’informazione sui social network sembra privilegiare la velocità rispetto al controllo delle fonti…
E questo è terribile. Come quel principio strisciante per cui ognuno può fare tutto, senza professionalità. A Roma si dice: “che ce vò!”. Invece non è così. Il mestiere, la competenza si costruiscono sul campo, con il lavoro di scavo, il confronto delle fonti, e talvolta, certo, sei costretto a prendere decisioni in pochi minuti, sperando che siano quelle giuste.

Il Medioriente richiama purtroppo al terrorismo. Che Islam hai conosciuto?
Tutti i tipi di Islam, da quello moderato a quello di uno dei peggiori terroristi che ci sono – intervistato in Giordania – uno di quelli che manda i ragazzi a combatterer e morire. Un altro Islam incontrato è quello dell’ex primo ministro giordano al-Masri che mi ha spiegato come il problema di quella religione si la faida interna, un’opinione che condivido con Maurizio Molinari, il direttore della Stampa. Un braccio di ferro fra fazioni all’interno dell’Islam.

In definitiva il libro è un reportage che diventa anche letteratura di viaggio?
In parte sì. Chi visita il Medioriente vorrebbe vedere e sapere più di quello che riesce. Per esempio Gaza è off limits per un viaggiatore o turista, per entrare devi avere un sacco di permessi. E’ così per tanti posti. Con questo libro spero di offrire narrazioni su quello che non si può vedere. Un modo per completare la conoscenza di un paese.

Spoto, le sue origini sono emiliane. È vero che ha cominciato come giornalista alla Gazzetta di Modena?
Ho iniziato all’ufficio stampa della Regione Emilia Romagna, ma sognavo di fare il praticantato da qualche parte. Venni a sapere che c’era questa possibilità alla Gazzetta. Ricordo che partii di corsa con la vecchia Fulvia di mio padre. Facendo sorpassi da criminale sulla via Emilia, arrivai all’Hotel Fini. Avevano appena finito, ma mi dissero di lasciare quel che avevo scritto, qualche esempio. Poi, appena tornato da un capodanno passato in Svezia, squillò il telefono a casa (allora non c’erano i cellulari), sentii la frase “ti prendiamo”. Era il 1981; due anni dopo diventai professionista. A Modena furono anni formativi, ma a un certo punto volli tentare il grande salto, in Rai. Prima a Bologna. Poi a Roma, dove approdai nel 1996. Mi è andata bene.

Ed è vero che è un grande tifoso del Sassuolo?
Sì, ma per motivi nostalgici, più che calcistici in senso stretto. Sassuolo mi ricorda le prime fidanzate, facevo le corse sulle strade di Magreta per provare i motorini. Quando vengo a Modena, alloggio a Corlo. E poi sono sempre stato dalla parte degli “indiani”, non potrei essere juventino. Una volta venni invitato a partecipare a un programma e c’era Di Francesco. Gli chiesi, un po’ per scherzo: ‘ma del Sassuolo interessa solo a me e a lei?’ E lui rispose: ‘no, c’è anche una terza persona, il presidente Squinzi’. Perché sa, non è che Roma pulluli di supporter del Sassuolo. Non voglio pensare che Di Francesco se ne vada ad allenare la Roma.

Intervista di Francesco Rossetti

 

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